Veneziani contro la “Cappa” del conformismo
Recensione a cura di Giovanni Sessa per il Barbadillo
Il nuovo saggio per Marsilio dell’intellettuale pugliese: una disamina dell’oppressione del pensiero unico con indirizzi per una resistenza patriottica
Marcello Veneziani nel suo ultimo libro edito da Marsilio, La Cappa. Per una critica del presente (pp. 204, euro 18,00), entra nelle vive cose della crisi contemporanea. Bauman ha descritto l’uomo contemporaneo come l’abitatore, per eccellenza, della crisi. Tale condizione ha, nel corso del tempo, non solo corroso le speranze in un possibile cambiamento, ma ha creato un clima di diffuso disagio che, a dire di Veneziani ha infine assunto il volto di una Cappa opprimente e pervasiva: «Ci manca il respiro, e non sappiamo dire in che senso, in che modo, perché. È come se fossimo sotto una Cappa» (p. 7). In tale situazione, a venir meno è l’intelligibilità del reale, non riusciamo a cogliere la dimensione di senso della vita e del mondo. Vengono meno lo spessore, la consistenza della realtà. Tutto appare svuotato, pervaso dal vuoto nullificante. Il dirompere imprevisto della pandemia ha radicalizzato gli aspetti negativi della Cappa, determinando una restrizione senza precedenti della dimensione relazionale della vita.
Esito ultimo di tale processo è da individuarsi nell’oscuramento: «di ogni trascendenza, ogni passato e futuro» (p. 8). Così la vita si è ridotta a mero presente di produzione-consumo, dominato dal deus ex machina della società liquida, la Tecnica, il cui dominio appare incontrastabile in quanto: «la sua crescita senza scopo prevale sul controllo e la motivazione» (p. 9). La Cappa è, in ogni caso, un prodotto strettamente legato e connesso a ciò che Veneziani chiama la Cupola: «È il ceto dominante che sovrasta la società; i vertici della finanza, della tecnica, dei social-media, della salute» (p. 9), coadiuvati nella creazione del senso comune contemporaneo, dai potentati della comunicazione. Nella governance, che il politologo francese Guy Hermet ha definito, non casualmente, Nuovo Regime, inverno della democrazia, si è pienamente manifestato il tratto epidemico (in senso greco, sovrapposizione degli apparti sul popolo) proprio delle democrazie liberali, rilevato nel secondo dopoguerra dal filosofo Andrea Emo.
Cosa assai significativa e grave è, a dire dell’autore, la stringente corrispondenza che si è istituita tra la nostra interiorità e la Cappa esterna che, in tal modo: «tocca la sfera esistenziale e pervade le menti, le anime, permea lo Spirito del tempo» (p. 11), in una parola crea il brodo di coltura del mainstream, dell’intellettualmente e politicamente corretto. Tutto appare in movimento, senza più confini né limiti: «i sessi sconfinano e mutano, le differenze scolorano e si uniformano, la natura è abolita, la realtà è revocata, i territori perdono le frontiere» (p. 11). Su tutto vige la censura del mainstream, dell’unica religione rimasta su piazza, quella dei “diritti dell’uomo”. Essa è, in sostanza, centrata attorno al rifiuto del diritto naturale, in nome dell’autodeterminazione di un soggetto ridotto a Narciso. A lui solo spetta di “definirsi” in un modo o in un altro. E’ la società del transgender, che domina in ogni ambito, del flusso continuo. In essa, ricorda Veneziani, è stata rimossa l’idea di Natura, surrettiziamente sostituita con quella di “ambiente”. Una siffatta rimozione ha squilibrato la stessa relazione uomo-donna, come i “femminicidi” stanno a dimostrare. L’enfasi portata sulla violenza di genere, in realtà, è mirata a destituire di credibilità l’istituto famigliare, ultimo veicolo della Tradizione: «a fronte di alcune migliaia di casi di violenza […] in casa, ci sono milioni di famiglie e di coppie tradizionali che non conoscono violenze» (p. 45). Mentre da un lato, appare al senso comune legittima la miserevole pratica dell’utero in affitto, la biopolitica fa della difesa della salute del corpo, la propria religione. Del resto: «nel nome della salute in pericolo, come abbiamo sperimentato, è possibile revocare la libertà […] la Costituzione e la democrazia» (p. 51).
Oggi la biopolitica va trasformandosi in psicopolitica: «potere che plasma e seduce le menti» (p. 62). Tale caratteristica del potere ha prodotto la cancel culture, che non è semplice tentativo di eliminazione dal passato di figure e idee non gradite all’intellettualmente corretto, come si vorrebbe far credere, ma è cancellazione tout court della cultura e del passato. In particolare, si vogliono rimuovere dalla storie idee, linguaggi, eventi, personaggi non conformi, attraverso l’alleanza esplicita del neo-capitalismo con il radical-progressismo: «la ditta correttiva fabbrica pregiudizi seriali e parole liofilizzate: la loro applicazione esime dal ragionare […] e infonde in chi li usa una presunzione di superiorità etica» (p. 85). Chi dissente dal canone vigente è ridotto al rango di “condannato dalla storia”, ridotto alla dimensione del reietto. Arte, letteratura e pensiero hanno assunto tratto acritico, sono negazione esplicita della loro essenza. Applaudite dai potentati comunicativi a condizioni che cantino le sorti progressive di un’umanità sempre più confusa, immemore, sradicata.
Cosa opporre allo stato presente delle cose? È necessario, innanzitutto, rileva Veneziani, non cadere preda dello sconforto, ma neppure coltivare facili sogni escatologici e paligenetici. Né rivoluzioni, né rivolte si stagliano all’orizzonte della società “coperta” dalla Cappa. Questa può essere non divelta, ma semplicemente scalfita, forata dalla “spada” del pensiero. La filosofia, oggi al servizio del Gestell, potrebbe essere disciplina utile a tal scopo, a condizione che si lasci alle spalle il puro accademismo intellettualistico e la posizione ancillare nei confronti del nichilismo e dell’iperindustrialismo. L’autore si confronta con l’esito meramente “descrittivo” che il filosofare ha avuto nel pensiero di Umberto Galimberti, nota, inoltre, come le significative critiche di Cacciari e Agamben al “Comitato di Salute pubblica”, abbiano determinato la loro ghettizzazione e, in certi casi, la loro derisione. Segni dei tempi! Veneziani recupera al sapere il “pensiero meridiano”, vivo già nelle pagine di Valéry e Camus e riproposto dalla sociologia di Franco Cassano: «E’ il pensiero del Sud, della terra del mare e della luce; […] pensiero che si lega al genius loci» (p. 150). E’ il ritorno alla physis mediterranea, capace di riattivare i legami comunitari, i confini, le appartenenze. In essa alberga il sacro, per questo dalla natura traluce la bellezza.
Tale filosofia ha coscienza della propria relazione con il passato e si apre ai luoghi: «oltre i tempi» (p. 151), colloquiando con l’eco del mito. Nonostante il grigiore indotto dalla Cappa, è ancora possibile pensare di poter tornare a riveder le stelle.