Almirante, Berlinguer e la Dc nella centrifuga grillina

Luigi Di Maio è un perfetto ominarello, come si chiamano a sud i ragazzi che si vestono da grandi o si danno l’aria di essere già adulti.

Sempre vestito d’ordinanza, come se andasse a un colloquio d’assunzione per una rete di vendita, Di Maio rappresenta l’anima istituzionale del Movimento 5stelle, come Alessandro Di Battista rappresenta l’anima emozionale e Grillo l’anima irascibile.

Me lo vedo fra trent’anni con le sue dichiarazioni ai tg a rivendicare la rivoluzione o la reazione, con pari convinzione, a seconda delle circostanze. È per questo che una vecchia volpe come Pippo Baudo, talent scout da una vita, ha annusato in lui la stoffa antica del democristiano.

Con una furbata a 360 gradi, Giggino, o don Luigino, ha rivendicato ai grillini in un colpo solo ben tre eredità assai eterogenee: Berlinguer, Almirante e la Dc.

Tre storie assai divergenti che con eroico sforzo si possono accorpare a due, ma che non si possono raggruppare tutte insieme.

È infatti possibile immaginare il filone Moro-Berlinguer sulla linea del compromesso storico, o si può vagheggiare con qualche sforzo una specie di centro-destra in pectore, da Andreotti e Fanfani ad Almirante; e ci si può con ardimento avventurare a immaginare una specie di fascio-comunismo in cui Almirante e Berlinguer stanno insieme all’opposizione del potere democristiano, rappresentando con fierezza e dignità la loro diversità politica.

Esaurite tutte le combinazioni possibili, però, è impossibile sentirsi eredi allo stesso tempo della Dc, del Msi di Almirante e del Pci di Berlinguer, tutti insieme. È un ecumenismo impossibile, neanche il Papa ce la farebbe…

Capisco che siamo ai saldi di fine stagione, capisco pure che si tende a fare la raccolta indifferenziata del passato, e capisco l’abissale ignoranza storica che domina sovrana soprattutto tra i grillini, ma c’ un limite a tutto.

Ancor più grottesco appare un movimento che vuol presentarsi come il nuovo e l’antipolitica, e poi si nasconde dietro un quadro non da seconda repubblica ma addirittura da prima, rimpiangendo politici navigati di professione.

Con uno sforzo retroattivo, Di Maio può rivendicare al grillismo l’eredità congiunta del Duce, di Togliatti e del Re. O se vuole avvicinarsi di più al recente, può rivendicare l’eredità simultanea di Fini, Berlusconi e Prodi-Veltroni. E’ un’operazione che somiglia alla centrifuga, che estrae il succo da frutta, fiori e ortaggi insieme.

Però dietro la furbata di richiamare esperienze tra loro lontane e ormai leggendarie del passato, c’è un fatto vero: gli elettori over 50 di Grillo provengono in effetti sia dal vecchio Msi che dal vecchio Pci e dalla vecchia Dc.

Però tra l’appartenenza originaria e il voto grillino c’è di mezzo un abisso: arrivano a Grillo non nel nome dei loro miti di un tempo ma in seguito al collasso della politica, alla decomposizione dei partiti e delle ideologie e alla corruzione degli organismi di un tempo, non solo nel senso criminale della parola ma anche nel senso dell’alterazione chimica di corpi un tempo vivi.

È come il ciclo alimentare, un tempo erano pietanze e ora sono concimi, è la parabola dei cibi, da pietanze da tavola a sacchi neri per i cassonetti.

Se la politica migliore era quella ispirata da valori (nazionali, socialisti, cristiani), allora l’antipolitica del presente ne rappresenta un terribile degrado, non è la rivolta contro la malapolitica ma l’ultimo stadio della stessa, la sua agonia terminale.

Ma forse l’ominarello Di Maio stava semplicemente facendo il suo esame di maturità e voleva dimostrare di aver studiato la storia. Bravo Luigino, la prima prova è andata benino, ma ora mettiti sotto a studiare le altre materie.

MV, 21 giugno 2017

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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