Arrivano i soldi ma lo Stato non c’è
Tutta la commedia intorno ai soldi europei, tutta la pantomima dei premier e degli eurocrati, tutte le promesse di rilancio ruotano intorno a un asse che non c’è: lo Stato. Dov’è lo Stato che dovrebbe pompare sangue al paese, ai paesi, ai popoli, all’economia stremata dopo la pandemia? Dov’è lo Stato-Cuore che dovrebbe rimettere in moto la società, dare ossigeno ai settori boccheggianti, colpiti dall’emergenza, incentivare l’iniziativa e la ripresa, aiutare i bisognosi e coloro che possono poi far fruttare gli aiuti, renderli produttivi? Lo avete visto voi, in questi anni, in questi mesi, lo identificate in qualcosa, in qualcuno, in un ceto? Non dico statisti, ma almeno apparati, procedure funzionanti, sistema consolidato.
Manca lo Stato con la sua gerarchia e la sua solida intelaiatura e vengono fuori le task force, ovvero le task-farse, fabbricate direttamente a Forcella. Solo fumo per poi gestire il potere indisturbati. Manca lo Stato e a occuparsi della redistribuzione sociale ed economica dovrebbe essere il ceto politico meno attrezzato e meno formato al senso dello Stato di sempre, quel circo equestre di grillini più fondi di magazzino della sinistra. Avete presente?
Non solo in Italia, ma in Europa, lo Stato è diventato da anni un participio passato. Lo Stato ci manca ormai da tempo come idea, come cultura, come struttura, come motore, come classe dirigente, come scuola di pubblica amministrazione, come statisti. Il paradosso europeo è che da decenni pensiamo la società con lo Stato ridotto ai minimi termini, un modesto agente che lavora per un’impresa di pulizie e vigilanza al servizio di una società chiamata Capitale o Mercato Globale. Lo Stato fu smantellato nella mente e nei cuori, oltre che nelle prerogative e nelle strutture, perché i paesi e i popoli non hanno confini, perché il mercato non ha confini, perché viviamo nella società globale, perché il turboliberismo è stato per anni l’ideologia travestita da non-ideologia che ha dominato e ha trovato negli statalisti di ieri, la sinistra marxista e socialista di un tempo, i suoi nuovi guardiani.
In principio furono la Thatcher e Reagan, poi vennero i Clinton e i Blair, ci fu la conversione della sinistra al mercato e al capitale. L’ideologia socialista, nata nel sogno dell’abolizione dello stato, o come diceva Marx proiettata verso l’estinzione necessaria dello stato, poi quando andò al potere, edificò gli Stati e gli statalismi più efferati e invasivi della storia umana, gli stati socialisti, dalle dittature sovietiche alle socialdemocrazie stataliste. Ora si ritrova al servizio delle privatizzazioni, dello smantellamento degli stati, paladina del superamento degli stati sovrani nel nome di entità sovranazionali. Dall’altra parte, dici destra e fino a ieri traducevano con più mercato, più privato, individualismo. Fino a che il paesaggio si è uniformato e ha prevalso ovunque l’idea che è l’Economia l’asse portante delle società e lo Stato ne è solo il guardiano dipendente. A quel dogma pseudoliberale si sono convertite pure le culture tradizionalmente refrattarie: cattolico-popolari, socialdemocratiche, moderate. Lo Stato è divenuto un ingombro, scavalcato da tutti i lati: dalle realtà sovranazionali e multinazionali, dalle realtà locali e periferiche, dalle Ong e dai flussi migratori incontrollati, dai capitali finanziari che fluttuano senza limiti.
E insieme con la destrutturazione dello Stato c’è stata pure la delegittimazione di una cultura dello Stato: confondendo senso dello Stato con statalismo, senso dell’ordine con autoritarismo, senso della gerarchia con dispotismo, senso del bene pubblico con parassitismo, lo Stato fu demolito a ogni livello. Tutto ciò che atteneva allo Stato era nella migliore delle ipotesi una necessità, nella più diffusa era una palla al piede, un riflesso del ritardo, qualcosa di ingessato, inefficiente, mastodontico, inadeguato alle sfide del futuro.
Oggi ci vorrebbe qualcosa come l’Iri degli anni Trenta, qualcuno come Enrico Mattei, politici che abbiano dimestichezza con la programmazione pubblica. Ma immaginate come finirebbero questi enti e fondi gestiti e nominati dal Conte Casalino & Brothers? Ce li vedete voi a gestire il rilancio del paese, dell’iniziativa privata e del ruolo pubblico, quelli che sanno solo spargere redditi parassitari a chi non lavora, incentivandoli a non lavorare? O la sinistra omotransmigrofila alle prese con la realtà? Saremmo alla moltiplicazione dei navigator, che meglio sarebbe definire alligator, perché devi solo mantenerli nelle loro paludi salmastre e stagnanti, nutrirli e farli riprodurre.
Ma il caso italiano è solo un’anomalia esasperata del più vasto caso europeo. L’Europa è stata realizzata per trasferire poteri, competenze, sovranità dagli Stati a oligarchie extrastatali: banche centrali, fondi monetari internazionali, enti extrastatali e sovranazionali, organismi umanitari e corti supreme che battono bandiera arcobaleno. L’Europa è stata pensata oltre lo Stato ma senza l’Impero, lasciando che a imperare sia il Global System, più le organizzazioni pelose della carità mondiale, Onu, Oms, e via dicendo.
Ora che servono gli Stati per ripartire non li abbiamo. Gli unici attrezzati alla sfida globale post-pandemia sono i sistemi neo-totalitari, tipo la Cina, che è la fusione dispotica tra capitalismo e comunismo in una società povera, sovraffollata e rigidamente controllata. Infatti la Cina, madre del virus, è anche l’unico grande paese in ripresa dopo il covid-19. Se non vogliamo cedere alle teorie “complottiste” sul virus, dobbiamo chiederci come mai.
Insomma, cos’è, dov’è, chi è lo Stato oggi? Sappiamo la risposta di Conte, “Lo Stato sono io”. Il comico si sposò al tragico.
MV, La Verità 24 luglio 2020