Il dominio cinese e altre servitù
Ma in caso di conflitto economico e sanitario, strategico e culturale, fino al conflitto bio-militare, noi da che parte stiamo, con gli Stati Uniti o con la Cina? Non è una domanda astratta perché riguarda lo scenario geopolitico dopo il contagio e le accuse alla Cina. È in atto un grande conflitto epocale, radicale, che non possiamo eludere.
Nella cupola mondiale che detiene il potere mediatico e tecno-finanziario, prevale una priorità: sollevare la Cina dalle sue colpe sul contagio e puntare sul crollo di Trump. È un messaggio continuo che si compiace di sottolineare le difficoltà degli USA e collegarle a ogni gaffe di Trump. In lui si avversa non solo l’egemonia americana quanto il modello populista-sovranista. Abbattendo lui, si pensa, si abbatte il sovranismo diffuso.
Ma oltre Trump le valutazioni poi si dividono: perché una parte vorrebbe restare ancorata al mondo liberal d’Occidente, agli Usa politically correct, alla Obama, per capirci. Mentre un’altra parte confida nella Cina o perlomeno giudica utile che il potere globale della Cina bilanci quello statunitense e tenga sotto scacco quello di Putin. Da noi, il partito grillino coincide col partito cinese, da Di Maio a Di Battista, a Grillo; e una parte della sinistra lo segue, in odio a Trump, per amor di capitalismo di stato, ma anche perché filocinese dai tempi di Prodi, poi i gesti di Zingaretti & C, per aprire ai cinesi nonostante l’epidemia. Sullo sfondo risale la tentazione di un comunismo 2.0, un comunismo 5G, maocapitalista, tecnologicamente evoluto, dal controllo capillare e dal reddito universale di cittadinanza per i servi della gleba, anzi servi della global, intesa come globalizzazione. “Il modello italiano” sbandierato per affrontare il virus è in realtà il modello cinese all’italiana.
Lo sciocco teorema liberista che il mercato produce automaticamente libertà è stato smentito dalla Cina: il mercato non ha smantellato il partito comunista e lo stato-padrone. La Cina è una dittatura algebrica, che usa big data, algoritmi predittivi, riconoscimento facciale, crediti sociali, sorveglianza totale. La Cina ha in mano mezzo debito statunitense, controlla mezz’Africa, patisce meno la crisi petrolifera, si sta insinuando in Europa e l’Italia è il suo ponte, il suo cuneo. La Cina sta giocando a suo favore il contagio, anche perché è partita prima degli altri; la Cina è la potenza commerciale più aggressiva e invasiva del mondo, ha la popolazione più vasta del pianeta, un indice di sopportazione delle catastrofi che non ha paragoni: tra rivoluzione culturale maoista, fame e stermini ha avuto decine di milioni di vittime senza mai potersi ribellare. Oggi è leader tecnologico nel mondo, il 5G è una promessa e una minaccia, ha emissari in molte cabine di comando europeo, in Italia in particolare, persino tra i tecnici. Ridicolo specchio di questa posizione filocinese è il tg1 o TeleCasalino dove gli Usa di Trump sono il cattivo e la Cina (secondo la Botteri) è il gigante buono e amico. Giustificato l’allarme di Paolo Mieli e di Marta Dassù per la deriva filocinese nostrana.
C’è chi rifiuta l’alternativa Usa-Cina con artifici retorici, l’europeismo o il nazionalismo. È facile dire che tra la Cina e gli Usa noi siamo con l’Italia; certo che è così, ma poi una posizione devi prenderla davanti allo scenario mondiale, alle pressioni, alle accuse sul virus, ai commerci, agli accordi bilaterali, alle basi militari. Non si può immaginare l’Italia come una specie di San Marino del pianeta. Trump è preferibile al mondo che lui ha sconfitto – le Grandi Famiglie, i Poteri Global, il politically correct progressista – ma da qui ad appiattirsi sotto il suo protettorato ce ne corre. È stato efficace sul piano economico e benefico per la ripresa degli Usa, ma non ci piacerebbe un’Italia ridotta a suo satellite. Nè può piacere il suo modo d’essere e di fare.
Ma ancor meno accettabile è l’egemonia cinese e il modello Cina: è la negazione della nostra civiltà, della nostra visione della vita e della libertà; l’assoluto cinismo nell’uso dei popoli e delle vite umane, un controllo capillare, totalitario. Un modello incompatibile per noi.
Perciò ci restano tre prospettive difficili ma necessarie e interdipendenti: la ripresa d’orgoglio e di vitalità dell’Italia, con un realistico grado di autonomia dalle due superpotenze; il ripensamento radicale di un’Europa sovrana, come oggi non sa essere; il legame strategico dell’Europa con la Russia di Putin per smarcarsi dal protettorato Usa e opporsi alla colonizzazione cinese; ossia la prospettiva euroasiatica. È sbagliato dire che non vogliamo essere né con Pechino né con Berlino come se fossero sullo stesso piano. Non vogliamo essere né con New York né tantomeno con Pechino; con Berlino invece vorremmo essere alleati ma non sudditi. La Germania è uno dei cardini del nostro spazio vitale col Mediterraneo e l’Est. Putin è un autocrate, ha un passato nel Kgb, la Russia non è un modello per noi europei e mediterranei; ma nel sistema delle alleanze e degli interessi geostrategici la Russia di Putin è la meno lontana, la meno ostile a un’Europa rigenerata. E Putin, con tutte le sue ombre, è un grande statista, lungimirante. La criminalizzazione dei legami con Putin ha schiacciato la Lega (e Fratelli d’Italia) in una sudditanza trumpiana, con negative ricadute in politica estera, medio-oriente ed economia. Una strategia eurasiatica è oggi l’unica via praticabile per scrollarsi dall’americanizzazione e per contrapporsi alla cinesizzazione del globo. È la Terza Via odierna.
A patto di non saltare le altre due condizioni indicate: un’Italia sovrana dentro un’Europa sovrana. La sovranità italiana vale soprattutto al suo interno e al suo popolo; la sovranità europea dovrebbe valere rispetto all’esterno, nel rapporto col mondo: commercio, potenze, migranti. Utopia? C’è forse un’alternativa decente e praticabile?
MV, La Verità 5 maggio 2020