Il segreto del nostro mare

Vorrei svelare a tutti gli animali marini, nativi, stanziali, saltuari, stagionali, il segreto del nostro mare. È un segreto che portavo dentro di me ma non conoscevo fino a tarda età. Ne avvertivo il richiamo, ma non sapevo spiegarlo. Dunque, prendiamola da lontano. Da tempo vivo per metà anno a Talamone, un piccolo, promontorio sul Tirreno, in Maremma, abitato da meno cittadini di un condominio romano. Quattro gatti che sono molti di più il fine settimana o a ferragosto. Talamone ha vari pregi: c’è il vento quando da noi si crepa di caldo, ha uno splendido mare in paese, è il primo mare – salendo da Roma – che sia fatto di roccia e di scoglio. Come il mare della mia infanzia pugliese. C’è una storia fantastica da raccontare. La trovate pure in Ritorno a sud (Mondadori, 2014).
Nei primi anni novanta crollò a Bisceglie una spiaggia stupenda, la spiaggia della mia adolescenza, La Testa. Fu ricostruita artificialmente ma è sparito lo scoglio obliquo che si infilava nel mare come una balena spiaggiata e indurita sotto sale. Le migliori nuotate le ho fatte partendo da lì, se devo immaginarmi al mare, mi immagino lì, su quel pachiderma scoglioso che si accascia in quel mare di cristallo. Su quello scoglio ho campato felice per un ventennio (ah, questo Veneziani, nostalgico di ogni ventennio…). Patì quella perdita come un lutto grave. Da allora – sarà una coincidenza – cambiai residenza. Per puro caso ritrovai l’anno dopo lo stesso scoglio a Talamone in una località denominata Cannone. Mi sembrò un miracolo, come la grotta di Betlemme traslocata a Loreto. Somigliava un sacco.
Così decisi di mettere casa a Talamone a due passi da quello scoglio. Ogni anno, quando sono incinto di un libro, vado a trascorrere la mia gravidanza, parto incluso, sullo scoglio di Bisceglie traslocato a Talamone. Una clinica a cielo aperto.
Una volta riuscì a trascinare nella mia solitudine toscana anche mio padre. Vecchio lupo di mare, aveva già 92 anni, vedeva poco e sentiva poco, in compenso gli si era acuito l’olfatto. E mentre godeva l’aria di Talamone, intravedeva il mare sotto casa e pregustava mangiate di spigole e orate, mi svelò il segreto del mare nostrano. Si affacciò dalla rocca sul mare e notò: però questo mare non odora, non odora come il nostro. Inspirava e non portava niente di mare dentro i suoi polmoni. Forse è più bello, c’è il verde intorno e un parco naturale a ridosso, il clima è più generoso e meno feroce l’estate. Ma se respiri profondamente non senti l’odore del mare. E parlando simulava gli sbuffi d’aria con la mano aperta a conca verso il naso. Da allora ho avvertito la stessa assenza di odore intenso in altri mari, d’Italia e non solo; ho un ricordo visivo di splendidi mari ma non olfattivo.
Non dirò che il nostro mare ha un odore esclusivo. E non dimentico a due passi dai nostri porti che fetore proviene da certi suoi anfratti. L’affetisciuto si sente venire dal mare e imporci la fuga o l’apnea. Però il mare di casa ha un odore più forte, come se fosse più navigato, più vissuto, più sofferto. L’odore del mare nostrano è più intenso e più vero, come il sudore dei poveri e della fatica. Me lo insegnò l’olfatto antico di un uomo nato e cresciuto sul mare nostrano. Mio padre, vecchio costruttore di maricelli, che sono poi conche da lui costruite pietra su pietra, per bambini o solo per il gusto architettonico di crearsi una piscina provvisoria nel mare. Scavava tra i sassi, poi costruiva una barriera frangiflutti e il maricello era fatto. E odorava davvero, quella primitiva jacuzzi nel mare, tra quelle pietre sommerse e verdastre, coperte da una peluria di alghe e un brulicare di granchi e lumache.
È vero, il nostro mare odora di più, e non so dire se è merito dello jodio, della salsedine, delle alghe e degli scogli. E perfino della putredine che si unisce al salmastro. Forse è la madeileine di Proust, il ricordo mitizzato dell’infanzia che risale dalle acque placentali del mare. Quando ci intingiamo nella nostra tazza di mare, come il biscotto di Proust, qualcosa risale nella nostra memoria e ci chiama all’odore materno. Perché il mare è nostra madre. Come Teti, dea del mare e madre di Achille. Come Afrodite che viene dalla schiuma del mare e incita a ingravidarla. Noi pugliesi abbiamo il mare più lungo d’Italia, è un balcone infinito, una canoa attraccata al molo garganico, dal basso Adriatico lungo le acque dello Jonio. L’Adriatico, il mare glorioso cantato da D’Annunzio, ricordava ispirato ma non inspirato mio padre mentre fingeva di guardare il Tirreno.
Amarcord, un mare di ricordi. Le lunghe nuotate, i riposi disfatti, le infinite letture con mezzo corpo nell’acqua. L’azzurro in alto e in basso, una porosa, fluttuante eternità perduta nel sole e nel vento… E l’odore che viene da un paese lontano, chiamato Infanzia.
MV, Libero 15 agosto 2018