La Carta tradita o mai realizzata

Seconda tappa del viaggio nella Costituzione

Ma le leggi speciali che puniscono i reati d’opinione non sono una palese violazione del dettame costituzionale e di un elementare diritto in una democrazia liberale? E non suona grottesco l’articolo 34 della Costituzione che riconosce il diritto ai capaci e ai meritevoli in una società, una scuola e università che li calpestano ogni giorno?

Triste è il capitolo della Costituzione disattesa, restata sulla carta, sopraffatta dalla Costituzione materiale. Si pensi al mancato riconoscimento giuridico di sindacati e partiti, alla partecipazione dei lavoratori nella gestione delle aziende, e a tante altre sue parti inattuate.

Il primo a citare nei dibattiti politici e parlamentari quegli articoli della Costituzione rimasti lettera morta e a portarli nell’arena polemica dagli spalti dell’opposizione, fu uno che era fuori dell’Arco costituzionale: Giorgio Almirante, che chiedeva di rendere vigenti, efficaci, gli articoli 39,40 e 46 della Costituzione.

Per non dire dei tradimenti subiti dalla Carta lungo la strada, l’ultimo dei quali è la violazione del diritto costituzionale dei cittadini di scegliersi i propri rappresentanti, voluta da una legge sostenuta sottobanco da quasi tutti i partiti perché consegna il Parlamento nelle mani degli oligarchi di partito.

Uno scippo di sovranità su cui nessuna magistratura – anche la stessa massima magistratura, la Presidenza della Repubblica, garante e custode della Costituzione – ha mai recepito nulla, magari ricorrendo alla Corte Costituzionale.

È lecito passare dal sistema proporzionale al sistema uninominale e maggioritario e viceversa, ma è incostituzionale negare ai cittadini il diritto di designare i propri delegati, firmando una cambiale in bianco ai partiti. Ma nessuno solleva il problema, salvo poi scendere in piazza in difesa della Costituzione intoccabile.

Vi dicono niente poi gli articoli 29, 30 e 31 a tutela della famiglia riconosciuta come “la società naturale fondata sul matrimonio”, oggi vistosamente traditi? E l’articolo 15 che sancisce “l’inviolabile segretezza” della corrispondenza e delle comunicazioni, violato dalla gogna mediatica e la pubblicazione delle intercettazioni?

E che dire quando la Bella e Intoccabile è stata violata senza reagire con la modifica del titolo V sui poteri alle Regioni o con l’inserimento del pareggio di bilancio, il fiscal compact? Due ferite gravi all’unità e alla sovranità nazionale e popolare.

Su queste premesse e su queste carenze e omissioni, un arco “costituzionale” assai vasto vagheggia il patriottismo della Costituzione come cemento unitario del paese.

Ma nessun patriottismo può nascere da un perimetro di regole. I patriottismi non nascono dalle carte e da atti di fondazioni così recenti. E tantomeno in un paese cattolico e mediterraneo come il nostro, dove non vige l’osservanza suprema della Legge e del Testo scritto, come nei paesi di formazione calvinista e protestante.

Più vivo e più vero resta il Patriottismo della Nazione o della Tradizione, ovvero la comune appartenenza che deriva da una storia comune, dalla vita di un popolo, le sue eredità, i suoi caratteri, la sua cultura, la sua esperienza e la sua natura.

È questo il senso della nostra tradizione di pensiero, di Dante e Marsilio, di Vico e Machiavelli, dove il vero e il certo, l’ideale e il reale, la repubblica di Platone e la feccia di Romolo, si incontrano sul piano della storia e della vita dei popoli.

E questo ancor più vale per un Paese come l’Italia che non sorge come nazione politica ma come nazione culturale. E dunque il peso della sua storia e della sua letteratura, della sua lingua e della sua civiltà è preminente rispetto agli ordinamenti statali e alle carte costituzionali.

L’Italia è una civiltà, è una visione, prima di essere un ordinamento giuridico, una carta di regole e prescrizioni. Qui si fronteggiano due opposte concezioni: da una parte c’è la rispettabile difesa di una Carta e delle sue regole, scaturite dall’accordo tra i partiti: e sul piano teorico c’è la lezione di Habermas e di Kelsen, c’è l’idea protestante della norma scritta e impersonale, l’illuminismo e il formalismo giuridico; e c’è infine lo spirito della Resistenza, del Cln e del compromesso storico.

Dall’altra parte c’è invece l’idea che le carte siano da rispettare ma non da imbalsamare e da adorare, e che prima delle carte abbia valore la storia, la civiltà e l’esperienza dei popoli; e la considerazione basilare che l’Italia non è nata con la Resistenza o con la Costituzione ma molto prima, nei secoli e nei millenni.

E prima delle norme, dietro le costituzioni, ci sono i popoli e le persone, le loro esperienze di vita, i loro costumi, la loro storia, la loro civiltà e le loro tradizioni.

MV, Il Tempo 28 settembre 2017

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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