La fiction della sinistra

La sinistra ritrova la sua unità quando si divide dagli italiani. È capitato l’altro giorno con le manifestazioni antifasciste, quando tutti – Renzi e D’Alema, Gentiloni e i centri sociali, Grasso e l’Anpi – si sono ritrovati assieme per celebrare un rito surreale, una seduta spiritica di piazza, cercando il Nemico Morto per ravvivare l’unità.

Ma in questo modo si sono separati dalla realtà, dal presente e dagli italiani che considerano davvero grottesca e anacronistica la sfida antifascista a un presunto fascismo rinato.

In realtà il neofascismo accompagna la nostra democrazia dalla sua nascita, nella doppia versione di neofascismo intramoenia, ovvero rappresentato in parlamento, e neofascismo extramoenia, ossia diffuso fuori dal parlamento. L’allarme viene evocato surrettiziamente da settant’anni, con ciclici punti acuti e ridicoli allarmismi.

Ma lasciamo stare la soap antifascista in malafede.

Vediamo cos’è oggi la sinistra. A parte i coriandoli della sinistra diffusa, c’è una sinistra di governo e una di risulta. Quest’ultima ha preso il nome di Liberi e Uguali.

È la raccolta indifferenziata di una caterva di relitti. Ci sono i presidenti di risulta, avanzati dalle istituzioni, vale a dire Grasso e Boldrini, due personaggi in cerca d’autore. E ci sono due reduci da tutte le ingloriose sconfitte della sinistra, dal comunismo al governo, Bersani e D’Alema. Più frattaglie meno significative.

Dei quattro hanno scelto il peggiore a far da guida e portavoce di LeU: Pietro Grasso, un magistrato in odore di Forza Italia fino a qualche anno fa, amico a suo tempo di Dell’Utri, poi diventato, per vanità, il papa straniero della sinistra italiana.

Meglio sarebbe stato puntare sui capi storici della sinistra, Bersani e D’Alema, che almeno hanno una dignità di leader e una coerenza di profilo. O quantomeno avrebbe avuto un senso puntare sulla Boldrini, una donna, anzi la madonna dell’antifascismo e dell’antisessismo, che un messaggio a quel mondo, a quella setta, almeno lo manda.

Grasso è invece improbabile e improponibile come leader, goffo, poco convincente perché poco convinto in quel ruolo, si capisce che è un pesce fuor d’acqua. Per giunta pesce bollito. Ha un solo vantaggio: funge meglio in caso d’inciucio.

Dall’altra parte c’è lo strano caso del Partito Renziano, un tempo Partito Democratico.  La gestione monocratica di Renzi ha prodotto una fuga dalla sinistra e dal pd senza precedenti.

E non solo: quel che resta dentro il Pd, lo è nonostante Renzi. Mi riferisco non solo agli Orlando e agli Emiliano che capeggiarono la fronda, e ai Napolitano, i Fassino e i Veltroni che sono i residuati bellici del vecchio Pci. Ma al grosso dell’elettorato che vota Pd pensando a Gentiloni, e dunque vota Pd malgrado Renzi.

È il paradosso di un anno pazzo, in cui Gentiloni era nato come protesi di Renzi, come puro cappello per segnare il posto, momentaneamente lasciato da Matteo; e invece oggi si sopportano le piazzate del nuovo Vannamarchi della postsinistre ma si vota per Gentiloni. O per Minniti, insomma per tutti meno che per Renzi e per il suo cerchio magico aretino-subfiorentino.

Renzi ha sfasciato la sinistra come non era riuscito a nessuno, l’ha ridotta a terza forza dopo il centro-destra e i grillini, l’ha divisa e lacerata, l’ha perfino berlusconizzata. E ora è grottesca la sua fiction antifascista, il suo affannoso recupero della scatola nera del sinistrismo: l’odio verso qualcuno.

L’antifascismo, oggi come ieri, con la parentesi dell’antiberlusconismo nel mezzo.

Ma il Pd dispone come mai era accaduto in passato, di una macchina di potere, di una fabbrica del consenso mediatico-istituzionale senza precedenti. È impressionante, ad esempio, la catena di montaggio messa in piedi.

In principio è l’Istat che sforna con una frequenza impressionante, dati euforici sulla gloriosa ripresa italiana, come se fosse l’ufficio propaganda elettorale del Pd, o il nuovo minculpop del governo.

La notizia viene ripresa con grande enfasi in apertura dai tg di regime, la Rai usata come l’Istituto Luce, accompagnata da dichiarazioni trionfanti di Gentiloni e dei suoi ministri. A cui segue lo show di Renzi su un palcoscenico in cui il piazzista fiorentino si aggrappa ai dati e alle notizie dei tg, dopo le veline del pd e del governo, per narrare il miracolo e galvanizzare le truppe votanti. I

l problema, nell’antifascismo come nell’euforia governativa, è solo uno: la realtà.

La gente ascolta del pericolo fascista e del trionfo dell’Italia sotto il Pd e poi vede la realtà, sente cosa succede realmente, vede stupratori nigeriani e aggressori antifascisti, rimessi in libertà dopo poche ore, sente i morsi della crisi, dello sfascio e della disoccupazione e più si indigna.

Capisce che la narrazione della sinistra regge su una doppia fiction: l’horror antifascista e il lietofine renziano. E s’indigna ancora di più. Così la fumosa macchina da guerra del Pd sortisce l’effetto opposto: alimenta l’antipolitica, il populismo e l’astensionismo.

Vede un paese al collasso, con l’estrema unzione di Mattarella.

MV, Il Tempo 26 febbraio 2018

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  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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