I dieci comandamenti della sinistra suprematista
Ma che cosa frulla nella testa ai suprematisti di sinistra quando esercita l’arte del disprezzo verso la realtà, quando augura la morte al “nemico” malato, quando condanna a priori il “nemico” e lo giudica mascalzone se non delinquente, quando assegna o revoca patenti di cittadinanza, permessi o divieti d’accesso o quando distribuisce marchi di fascista, nazista e razzista a chi si oppone al suo modo di vedere? Qual è il dispositivo mentale, stavo per dire la tara, quali sono le categorie a priori o i pregiudizi che dispongono la sua forma mentis a deformarsi fino a chiudersi nell’astiosa demenza? Dopo aver descritto più volte le tante espressioni del politically correct, proviamo a entrare nella testa di chi le produce o vi aderisce, cercando di risalire a monte, anzi a mente, e capire i meccanismi mentali che spingono persone dotate di ragione, e a volte di cultura, a diventare intolleranti, supponenti, incivili, maleducate. Altro che la gentilezza di cui scrive Gianrico Carofiglio.
La prima categoria mentale nasce dal rifiuto della realtà a vantaggio della sua rappresentazione ideologica e moralistica. Mascherare la realtà si addice alla nostra epoca e all’uso ideologico della mascherina; per nascondere, per correggere, per uniformare la realtà, per negare le diversità, le asprezze, la verità delle cose. Se una cosa non ti piace o contrasta con lo schema, cambiagli i connotati, mascherala. Abolire la realtà è la più grande eredità lasciata dal comunismo alla sinistra radical. Il moralismo correttivo è il suo succedaneo.
La seconda categoria è invertire la causa e l’effetto. Denunciano la repressione ma dimenticano la violenza a cui reagisce; anzi capovolgono la sequenza, la violenza reagisce alla repressione, è una protesta contro la polizia. Vedi che succede negli Usa o quel che è successo da noi, dal ’68 al caso Giuliani e ai giorni nostri. Se ci sono troppi scarafaggi la colpa è del baygon e non il contrario, che il baygon è usato perché ci sono troppi scarafaggi.
La terza categoria mentale è usare il caso per abbattere la regola. Se avviene un abuso o un delitto in famiglia, se un carabiniere o un poliziotto compiono crimini, parte il processo alla famiglia o alle forze dell’ordine, si invocano leggi speciali contro di loro, si delegittimano. Dimenticando che dieci casi di abuso ogni mille mostrano che la regola generale vale per gli altri 990. Si perde il senso delle proporzioni tra la realtà comune e le sue degenerazioni, si abbattono istituzioni e si rovesciano regole nel nome del caso, dell’eccezione.
La quarta categoria, legata alla precedente, è prendere la parte per il tutto, quella che in sintassi si chiama sineddoche. Se tra mille che la pensano su un tema allo stesso modo ci sono, come sempre accade anche dalle loro parti, dieci estremisti, negazionisti, fascisti, allora quel mondo intero sarà bollato come estremista, negazionista, fascista. E se esprimi mille opinioni e una è reputata sconveniente, sei crocifisso solo a quella. Riduzionismo: il tutto ridotto a una parte.
A ulteriore rinforzo, la quinta categoria è l’abuso della proprietà transitiva: se a è vicino a b e b ha rapporti con c che è stato visto con d, il risultato è che a e d sono complici, della stessa pasta; il teorema si conferma saltando realtà e logica, legami e differenze. Alla fine chiunque può essere ridotto a criminale.
La sesta categoria è capovolgere il senso comune: ciò che è reale è irrazionale, ciò che è naturale è innaturale, ciò che è usuale o maggioritario è spregevole, ciò che è fattuale è inaccettabile. E ciò perché la realtà è solo prigione e imposizione da cui dobbiamo liberarci. Il sentire comune è solo ideologia prevaricatrice, l’ideologia diventa invece il sentire corretto. Il diritto prevale sul dovere, il desiderio prevale sul diritto. Io sono ciò che voglio essere: la realtà non esiste, tutto è come io la vedo, in questo momento. La prevalenza del soggettivo e del momentaneo su ogni altra visione o sentire comune.
Applicando questa regola trionfa la settima categoria, il relativismo opportunista. Uno stesso fatto che riguarda due soggetti opposti per carattere, ideologia, appartenenza, viene giudicato in modo opposto. A taluni è permesso dire e fare ciò che ad altri è proibito. Ciò che è scandaloso in taluni è comprensibile in altri. Conta, per dirla col vecchio Gramsci, se la violenza sia progressiva o regressiva, cioè sia dalla parte nostra o altrui. Chi dissente è delinquente, il delinquente invece è uno che dissente dalla società.
Ne consegue, ottava categoria, il moralismo a intermittenza che rigetta la natura, la realtà, la tradizione. Salvo appellarsi all’uso di mondo se parliamo di droga, aborto, eutanasia: se sono pratiche diffuse perché negarle, meglio legalizzarle. Idem per la criminalità: va capito il contesto, senza moralismi.
Nona categoria, il rigetto delle differenze naturali, neutralizzate con tutele e tutori, protesi e sostegni, in modo che ogni selezione e competizione, anche proficua, sia neutralizzata e distorta. Aiutare gli svantaggiati è buono e giusto, ma cancellare ogni merito, capacità, eccellenza uccide la società, la qualità e l’aspirazione di ciascuno a migliorarsi.
La decima categoria si può chiamare il premio infedeltà: viene incoraggiato e sostenuto ogni cambiamento di stato, di sesso, di rapporti. Perché la nostra libertà è negazione del destino, dell’origine e della natura. Il primato del mutante, del nomade, del transgender; male è ciò che persiste e conserva la sua identità.
Alla radice dei dieci comandamenti c’è il suprematismo della sinistra come razzismo etico: se non la pensi come noi non hai una diversa opinione e diversa sensibilità ma sei un impostore, un abusivo, una bestia. Un essere inferiore. Vai cancellato se sei lontano dal potere, vai criminalizzato se sei vicino al potere. E se ti becchi il virus ben ti sta. Dio non esiste ma il diavolo sì; non vale la preghiera ma il rito wodoo.
MV, La Verità 13 settembre 2020