Pensieri stellari nella notte di San Lorenzo

Cosa ci attira del cielo stellato? La siderale distanza, la luce che brilla nel buio, la perenne fissità. Sono gli elementi costitutivi del Mito. Nietzsche lo chiamò Amore per il lontano ed è quella forza misteriosa che ti porta ad amare la lontananza e a fondare su quell’amore ogni proiezione spirituale ed elevazione morale. Il romantico s’innamora della loro distanza e patisce l’incanto; ma il saggio, come Plotino, ci spiega che in quell’amore del lontano c’è la nostalgia di lassù, perché la parte migliore di noi, non caduca, abita nei cieli e infine vi torna. In Patagonia le ultime tribù ancora pensano che le stelle siano le anime dei morti che vegliano nei cieli e praticano la caccia nella via lattea. Per Plotino le stelle sono dei a vista d’occhio, anime beate che vivono nella perfezione, contemplando il mondo intelligibile, superiori al tempo, al ricordo e all’attesa. Per noi che le vediamo da quaggiù sono il ponte col passato e con l’avvenire, conservano la memoria del mondo e insieme custodiscono le speranze del futuro, stanno lì da sempre. Che le stelle siano il ponte col passato ce lo spiega la loro lontananza: distano anni luce, e quella misura iperbolica, spazio-temporale, ci dice che noi vediamo delle stelle il passato, è il loro ricordo che giunge a noi dopo anni di distanza. Lo spazio e il tempo si fondono nella lontananza. La spiegazione astrofisica combacia con la visione poetica: le “vaghe stelle dell’orsa” suscitano le Ricordanze leopardiane. Fiorisce la nostalgia, che è il dolore dolcissimo della distanza. Ma le stelle sono anche il calice delle nostre speranze. Nel De bello gallico, Giulio Cesare usò l’espressione de sideribus riferendosi ai soldati che aspettavano sotto le stelle il ritorno dei loro commilitoni dal campo di battaglia. Quell’attesa speranzosa era affidata alle stelle, il ponte che li collegava ai loro fratelli al fronte: quell’attesa fu chiamata desiderio.

Da dove scaturiscono le stelle? Gli astrofisici hanno le loro risposte. Gli umanisti si accontentano di almeno un paio: quella dantesca, “L’amor che move il sole e le altre stelle” che allude a un’energia originaria, e quella nietzscheana “E dal caos nacque una stella danzante” che evoca il magma iniziale e il big bang. Quando la vita si smarrisce nelle selve oscure o nei seminterrati dell’alienazione, sarà bene sollevare lo sguardo verso il cielo e tornare “a riveder le stelle”. Non a caso con le stelle si concludono le tre cantiche della Divina Commedia.

Ci incanta la stella cometa, guida del cammino verso il divino, luce regina dei presepi domestici con le volte stellate di carta, i nostri cieli in una stanza. Vedere la cometa è concesso forse una volta nella vita. Ernst Junger scrisse in un denso libretto del suo privilegio di aver visto “Due volte la cometa”, a 75 anni di distanza. L’incanto delle stelle cadenti nella notte di San Lorenzo nasce dal contrasto tra la fissità perenne delle stelle e la loro spettacolare caducità semel in anno; scoprire in una notte la bellezza della fugacità. Anche le stelle sono mortali…

Prezioso il consiglio di Pavel Florenskij dal gulag ai suoi figli: “Quando provate dolore nell’anima guardate le stelle. Quando vi sentite tristi, quando qualcuno vi offende, quando non vi riesce qualcosa o vi sovrasta la tempesta interiore, uscite fuori e rimanete a tu per tu con il cielo”. Ci sono tante cose in cielo e in terra oltre il nostro piccolo ego. Male è trascinare le stelle in terra e farne utopie per cambiare il mondo. Lasciamo le stelle ai loro cieli, semmai con la ricerca e le imprese spaziali avviciniamoci noi alla volta celeste. Restituiamo le stelle alla loro siderale lontananza, tra sovrumani silenzi, interminati spazi e profondissima quiete. Il naufragare è dolce, nel mare di stelle. Il cielo stellato è nostalgia allo stato puro, non per un tempo passato o per un luogo remoto, ma per un’origine dimenticata. Noi passiamo, il cielo resta.

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  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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