Woody Alien, ecco il Mostro

Di Woody Allen ce ne sono almeno tre: c’è il regista, attore e scrittore famoso, amato in verità più in Italia e in Europa che in patria (un po’ come Gorbaciov), autore di esilaranti commedie e indimenticabili film, insieme ad altri decisamente infelici o stancamente ripetitivi.

C’è poi l’intellettuale radical newyorkese, ironico e autoironico, che esibisce l’ebraismo, il pessimismo cosmico e la psicanalisi per ripararsi dal mondo e dalla fastidiosa realtà e professare un progressismo cinico ed egoista, ateo e blasfemo, anticristiano, antipatriottico e antifamiliare, nichilista tragicomico ma sempre politically correct.

E c’è il terzo Woody, quello privato, ormai 85enne, con le sue torbide storie di sesso, mogli, figli e minori, tra processi, accuse, condanne e assoluzioni, reputato infame negli States e cancellato dalle pubbliche agende americane. Eccolo, Woody Alien, il Mostro da censurare. A cominciare dalla sua monumentale autobiografia, bloccata negli Usa dall’editore Hachette e uscita invece in Italia in questi giorni (A proposito di niente, la nave di Teseo). Giustamente Elisabetta Sgarbi che l’ha pubblicata, distingue tra la condanna giudiziaria e il giudizio sull’artista, e giudica Woody Allen un genio assoluto e la sua autobiografia un capolavoro; magari un po’ esagerando ma è comprensibile perché lo edita.

Certo, Woody è un genio controverso del cinema e se non un genio, è comunque uno “sprizzacervello”; il suo modo di essere e di parlare ha fatto scuola, vezzo e maniera; è un sagace regista e autore umoristico e aforistico, molto citato. E con quelle categorie va giudicato quando parliamo di lui in relazione al cinema, all’arte e ai libri. La sua intelligenza, pur corrosiva, non va censurata e messa a tacere.

Se poi la sua vita privata merita condanne morali, civili e perfino penali, non dovrà certo accadere che il giudizio estetico o creativo possa cancellarle o mitigarle, per una speciale indulgenza riservata agli artisti; ma viceversa, il giudizio morale, civile e penale non può inibire o cancellare il giudizio sulla sua arte e il suo talento. Questa è l’eredità puritana e quacchera lasciata al bigottismo progressista, ipocrita e fanatico degli States, che trasforma una condanna civile e penale in censura all’arte e in una rimozione totale.

In realtà si deve distinguere tra il primo Allen, artista, in gran parte da elogiare e da considerare comunque uno dei grandi del cinema; il secondo Allen, intellettuale, a mio parere da criticare e da respingere, radicalmente; e il terzo Allen, privato, da colpire nelle sedi opportune, secondo giustizia, ma senza estendere la pena agli altri ambiti. Altrimenti dovremmo cancellare fior d’artisti e poeti per le loro vite debosciate o per le loro perversioni: per esempio rimuovere dalle chiese e dai musei d’arte le opere di Caravaggio o dei poeti maledetti… Certo, stride la sua vita privata col suo ruolo pubblico d’intellettuale a favore dell’emancipazione e della liberazione; stride il suo politically correct con una pratica di vita così scorretta, il suo spirito liberal col suo truce sessismo esteso ai minori. Ma bisogna distinguere i piani.

In Italia Woody Allen attecchì in modo particolare a una cultura progressista che cercava modelli alternativi a quelli organici del vecchio stalinismo in versione togliattiana. Woody diventò tra la fine degli anni settanta e gli anni ottanta, il top model di una liberazione dell’Intellettuale dal cupo spirito apocalittico, escatologico, antimoderno e antiamericano alla Pasolini o dal sottofondo ideologico del neo-realismo più trombone. Woody Allen disegnò un nuovo tipo d’intellettuale radical, ironico, come la filosofia di Richard Rorty, che volava da Mosca a New York, dal popolo alle élite, dal collettivo al privato, dalla denuncia alla parodia snob. Anche il suo fisico antieroico e bruttino lanciava un messaggio: io tutto cervello niente muscoli, tutto concetto niente prestanza, il contrario di un energumeno “fascista”, di un divo bellimbusto hollywoodiano o di un muscoloso e armato suprematista bianco. La traduzione somatica di Woody Allen in Italia fu Beniamino Placido e in parte il suo doppiatore Oreste Lionello, che però non la pensava come lui; in chiave politica il suo corrispettivo fu il cinefilo kennediano Walter Veltroni (una volta scrissi che Veltroni è un incrocio tra Woody Allen e Sabrina Ferilli ma purtroppo ha preso dal primo l’aspetto fisico e dalla seconda la cultura; ma esageravo).

Tra le cose più deludenti di Woody Allen furono i suoi film dedicati a Barcellona e a Roma in particolare. Se paragoniamo la sua Roma con quella di Fellini o di Rossellini e di altri cineasti nostrani, ma anche con la Roma di Paolo Sorrentino, il confronto non regge, a tutto svantaggio di Allen. Fu un imbarazzante filmetto il suo, dedicato a Roma, così estraneo alla sua sfacciata bellezza, alla romanità e ai romani, al medioevo e al suo rinascimento, fino al barocco; alla sua gloria antica e cattolica e al suo degrado; sembrò solo un lungo spot pubblicitario da catena alberghiera.

Più volte Woody si è preso gioco dal cristianesimo, dei suoi principi di fede e della sua liturgia ma non ha mai osato ironizzare sull’islam, e questo mi è parso più carognesco di una semplice viltà. Il cristianesimo è inerme davanti agli oltraggi, nessuna fatwa mai colpirà i suoi dissacratori; perciò Woody, Pseudo-madonne e artisti di finte trasgressioni possono liberamente sfogarsi. In altri suoi film Allen si faceva il verso, si ripeteva senz’anima e senz’originalità, lasciando una lunga scia di delusioni.

Restano invece i dialoghi ambientati nel suo habitat newyorkese, certe sue magiche atmosfere e deliziose ambientazioni, certi suoi dialoghi smaglianti sul sesso, certi suoi virtuosi anacronismi, certi suoi capolavori tra il giallo, il letterario e l’esistenziale. Insomma, salvate l’artista, criticate l’intellettuale, punite il maiale; senza confonderli.

MV, La Verità 23 maggio 2020

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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