Intervista a Veneziani. “Berlusconi è nella storia ma non fa più politica. Ora dovrebbe lasciare.” (Libero, 2015)

Le ha provate tutte Marcello Veneziani per fiaccarmi prima dell’intervista e rendermi innocuo. Suono al portone della sua casa nel cuore di Roma e mi dice al citofono: “Quarto piano”, fa una pausa e aggiunge: “Non c’è ascensore”. Il quarto piano corrisponde al tetto. Sono settanta scalini ripidi di una stretta scala a chiocciola. Quando arrivo, Veneziani è sulla porta con un bel sorriso da impunito. Mi invita a entrare, addita la scaletta interna e dice: “Ancora uno sforzo, poi siamo in salotto”. Mi inerpico ed entro in una magnifica stanza con una vetrata sui tetti di Roma. “Il tempo è stupendo. Facciamo l’intervista in terrazzo”, propone Marcello e mi indica un’altra scala per accedere al lastrico solare.

La terrazza è da film. Davanti una cupola barocca che sembra una torta da addentare, dalla strada sale il brusio di campo de’Fiori, sul tetto una gabbianella cova le uova sotto l’occhio del consorte pigramente steso tra le tegole. Il terrazzo è parte in ombra, parte al sole che picchia. Veneziani, perseguendo nella tua strategia di annichilimento, opta per sederci sotto i dardi di Apollo. Lui – fa parte del piano – si è attrezzato per resistere. Innanzitutto, è stra allenato perché è qui che normalmente lavora e infatti è abbronzatissimo. Inoltre, ha dei sofisticati occhialini antisole, tondi a lenti blu, che gli nascondono gli occhi dandomi la sensazione, accentuata dai baffetti, di avere di fronte Zorro con la maschera. Ma ha sbagliato i calcoli: io sto benone, ringalluzzito dalle scale, rinvigorito dal sole, pronto alla pugna.

Ovvio cominciare dalla sua uscita dal Giornale col quale collaborava da anni con successo. Da due mesi, d’accordo con la direzione, non scrive più anche se il contratto scadrà in agosto. “Negli ultimi tempi”, spiega, “alcuni articoli venivano respinti senza spiegazioni”. “Hai detto che ti hanno fatto fuori perché non sei cortigiano”, dico. “Con l’ultimo Berlusconi, prigioniero della Pascale e collaboratrici certi articoli non  potevano essere scritti. In passato, invece, avevo fatto critiche che erano state tollerate. In questa fase finale, Berlusconi si è incattivito e si usa spesso a sproposito la parola tradimento. Puoi dirlo a uno che è stato berlusconiano e che si è avvantaggiato con cariche. Non a me che berlusconiano non sono mai stato – senza però essere contro – e che non ho avuto prebende”.

“Come ti hanno fatto capire che non eri gradito?”. “L’amministratore mi ha chiesto di andarmene, accampando lo stato di crisi del giornale. Sappiamo tutti, però, che il direttore a decidere”. “Hai avuto un faccia a faccia con Alessandro Sallusti?”. “Sì. Ha mostrato dolore e stupore quando gli ho detto dell’amministratore. Ha dato colpa a Renzi per la legge che permette il prepensionamento di chi abbia almeno 58 anni (Veneziani ne ha 60, ndr). Penso che il siluramento sia stato deciso dall’editore, Paolo Berlsuconi o nei suoi paraggi. Toccava però a Sallusti decidere chi è strategico e chi no nel Giornale”. “I tuoi lettori hanno reagito?”, domando. “Valanghe di attestati. Molti hanno scritto al Giornale minacciando di non comprarlo più”. “Ma i giochi erano fatti”, osservo. “È stato un errore strategico. Meglio una voce dissonante che dà autorevolezza che non la logica del “meno siamo, meglio stiamo” che sta portando al disastro anche Berlusconi e Fi”. “Leggi ancora il Giornale?”, chiedo.”Ho smesso. Non per ritorsione ma per scarso interesse. Leggo il Corsera. Ma da solo è insufficiente e consulto anche Libero, Il Tempo e la Repubblica”. Ci alziamo per sgranchirci e Marcello racconta che è in partenza con la sua compagna per Talamone dove trascorrono sempre sette mesi tra sole, mare e scogli, per tornare a Roma in autunno. “Sei già tanto bruno che alla fine ti cadrà la pelle”, dico. “Una muta come per la serpe”, sorride.

 Cosa non ti piace del tramonto berlusconico?

La pascalizzazione. Un aderiva anarcoide che mette in gioco la famiglia e flirta coi trans. Berlsuconi ha smesso di fare politica da quando è stato ingiustamente defenestrato da premier.”

E invece di politica che fa?

Si muove per fatti personali. Sostiene governi che poi abbandona. Stringe il Patto del Nazareno e lo ripudia. Nel partito seleziona gli uomini alla rovescia. Via i degni – gliene saranno rimasti due, tre, tra cui l’ottimo Brunetta – e si circonda di nani e ballerine.

 Che può ancora dare il Cav?

Poteva puntare a un’uscita più maestosa invece di arroccarsi nella difesa patrimoniale del partito. Il minimo era fare una rosa di successori. Oggi, il suo rimanere in campo è un’inutile resistenza poiché passerà comunque alla Storia, tra i sette, otto dell’era repubblicana che hanno contato.

Voterai Matteo Salvini?

No, per ragioni geo etniche: sono inguaribilmente meridionale (pugliese, ndr). Anche se Salvini ha temi condivisibili. Però, non mi fido del suo improvviso passaggio dalla Padania all’Italia.

Chi voti allora?

Trovo in Giorgia Meloni qualcosa di più familiare. Ma l’alternativa che mi tenta di più, è il non voto.

Il politico che più incarna la tua idea di destra?

Un puzzle di varie figure. De Gaulle, anche se non gli perdono la condanna a morte di  Robert Brasillach (fucilato nel 1945 come “collaborazionista”, ndr). Da ragazzo, mi riconoscevo in Giorgio Almirante. Mi appassionò il progetto di Pino Rauti di sfondare a sinistra. Poi, mi sono ritirato in clandestinità e da lì ho visto Bettino Craxi come il migliore politico degli ultimi trent’anni.

“Io sono rappresentativo di un’area di opinione”, hai detto di te. Una vanitosa auto investitura?

(ride). Ricevo centinaia di messaggi in cui mi dicono: “Lei difende la mia stessa idea di tradizione italiana”. Un segmento della società mi segue. Ma io voglio solo lettori. Non fare politica per la quale non ho attitudine.

Ti consideri “intellettuale di area”, come a sinistra ci sono gli “intellettuali organici”?

Organico è chi ha un ruolo nei partiti. Io ho camminato in solitudine. L’unica parentesi politica – consigliere Rai per il centrodestra – è quella di cui sono più pentito. Ho presentato tante proposte, mai accolte. Idee mie, ma portatore di idee altrui. Se organico è chi precede e non chi segue, allora sono organico a una certa area culturale.

Di te hai detto: “A destra non mi perdonano di essere un intellettuale, gli intellettuali non mi perdonano di essere di destra”.

Ho aggiunto. “A sinistra sono settari e leggono solo libri di sinistra. A destra sono più equilibrati e non leggono né libri di destra, né di sinistra”.

I tuoi spiriti più affini?

A destra, ciascuno pensa di essere caso a parte. Inimmaginabile un partito di intellettuali, come l’azionismo a sinistra. Comunque, mi sento vicino a Franco Cardini, Pietrangelo Buttafuoco, Domenico Fisichella. Se poi considero la mi biblioteca ideale, direi Platone, Plotino…”

Tutankhamon, Nefertiti…

D’accordo. Passo al ‘900, dopo Nietzeche: Paul Valery, Simone Weil, Julius Evola, sulla cui opera mi sono laureato, Augusto Del Noce, col quale ho avuto un rapporto personale.

La minaccia islamica?

Mi preoccupa unita al nichilismo occidentale. Abbiamo un nemico esterno, che è l’Isis. E quello interno: il vergognarci della nostra civiltà e l’essere tolleranti con le religioni altrui e intolleranti con la nostra.

L’Italia condannata per tortura.

Follia. Ci impongono di introdurre il reato di tortura quando già puniamo le violenze e difendiamo i diritti umani. È pleonastico. Noi siamo cialtroni, non aguzzini.

Siamo tra i Paesi più corrotti.

Perché da noi, onesto ladro pari sono. Se il merito non è premiato, tana libera a tutti. Per dirla con Goldoni, se la casa brucia voglio scaldarmi anch’io.

Il nostro peggior difetto?

La cialtroneria. Prendiamo, Schettino e il pilota Lubitz. Il tedesco estende al mondo la sua disperazione e si uccide trascinando gli altri con sé. L’altro affonda la nave e salva se stesso.

Ripensando alla nostra storia, qual è la tua Italia?

Credo più alla civiltà italiana, che all’Italia come Stato. Dante è il simbolo dell’Italia. Non Garibaldi che rappresenta il desiderio dell’unità politica.

Conclusione?

Siamo forti nell’essere civiltà comune. Nello Stato siamo fiacchi.

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  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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