Quella notte di luglio il mondo diventò piccolo

Interviste a cura di Anna Gandolfi e Claudia Mangili apparse il 13 luglio sul Corriere della sera lombardo e su l’Eco di Bergamo.

Cosa fu quella notte di luglio di Cinquant’anni fa?

La conquista della luna fu anche una perdita. Perdemmo la luna dei poeti, l’orologio astrale e l’astro sacro agli antichi, ai licantropi e agli innamorati. Fu deflorato il suo mito e il suo mistero, il corpo di Selene perse il suo fascino per mostrare la sua pelle arida e i suoi foruncoli, chiamati crateri. Marinetti che voleva uccidere il chiaro di luna trionfò su Leopardi e sulle sue ricordanze lunari. La tecnica vinse sulla lirica, la velocità sulla meditazione. Certo, fu incantevole quella notte davanti al video, quello stupore puerile e universale che si fece visione e conquista. Ma la delusione che ne seguì, e le promesse annunciate di ulteriori imprese che poi non avvennero, restituirono poi la luna alla magia della notte.

La Cina ha appena dato il via all’esplorazione del lato nascosto della Luna. Perché, dopo 50 anni, questo resta un territorio di conquista, anche politico?

È curioso sottolineare che paesi diversi, con storie diverse, guidati da ideologie diverse, alla fine furono soggiogati dalla volontà di potenza e dal dominio planetario della tecnica. Al di là del comunismo sovietico e della democrazia liberale americana, riappare con le imprese spaziali l’antico spirito di conquista, la volontà di dominare il mondo conquistando lo spazio, il proposito di un’egemonia o di un accresciuto ruolo mondiale. Accadde all’Urss, accadde agli USA, è fatale che accada anche alla Cina. Però se la molla del potere non è a danno dell’umanità ma può tradursi a suo vantaggio, allora ben venga anche la volontà di potenza.

Galileo Galilei punta il cannocchiale verso il cielo. Nel 1610 la Luna smette di essere «perfettissima», bensì «piena di innumerabili cavità et eminenze». È l’inizio della rivoluzione scientifica.

Le impurità della luna scoperte dalla scienza, non impedirono a Goethe, ai romantici, allo stesso Leopardi, di rappresentarne in seguito l’incanto. In fondo per secoli scienza e poesia hanno vissuto sotto un tacito patto di non belligeranza, si sono rispettate ignorandosi, su binari paralleli che mai s’incrociarono. Lo showdown, la resa dei conti, avvenne con la conquista della Luna. Alcuni scienziati cercarono di mediare tra i due mondi nel nome della fede, ricordo Enrico Medi e poi Antonino Zichichi. Ma alcuni letterati scrivono pagine sgomente o diffidenti sull’impresa. Penso a Pasolini, a Buzzati – proprio sul Corriere della sera – a Ceronetti che dedicò un libro alla Difesa della Luna. Più spaventato è Martin Heidegger, filosofo e contadino, che vede nella conquista della luna la sconfitta della terra e lo sradicamento. In realtà la scienza non risolve il mistero, sposta “solo” i confini dell’ ignoto.

Cosa ricorda di quel giorno, come l’ha vissuto?

Ero adolescente e vissi quell’impresa con lo stupore infantile e insieme con la percezione di trovarmi improvvisamente nel futuro. Poi restar svegli la notte, vivere un evento eccezionale, ma anche sentirsi dentro una navicella chiamata terra che navigava verso l’ignoto. Quell’impresa più che la scienza acuì in me il senso del mistero e un’aspettativa che più tardi chiamerò escatologica. Prese corpo già allora quella Nostalgia degli dei a cui ho dedicato il mio ultimo libro.

Guarda la Luna e pensa a…?

Penso in prima luogo a Michael Collins, cioè al terzo astronauta di quella missione che non toccò il suolo lunare, arrivò lì e si spinse più lontano di tutti i suoi colleghi nello spazio, ma visse non toccò mai il suolo lunare, per lui la luna restò come la rosa di Gozzano, l’astro che non colse. Poi penso, a proposito di poeti, a Leopardi, recito mentalmente i suoi versi, magari con la colonna sonora del plenilunio di Beethoven. Infine, vedo la luna dal vivo, distesa sul mare, a Talamone, che lascia un tappeto argentato sulle onde, io lo percorro con gli occhi della mente e torno al mare dell’infanzia. E la luna torna a incantare, nonostante la tecnologia.

Che ricordi hai di quella notte tra il 20 e il 21 luglio di cinquant’anni fa?

Di un evento magico, un incantesimo globale. Non un’impresa americana sorretta dalla scienza e dalla tecnica, ma un’avventura poetica e mitologica, filosofica e mediatica nei cieli inesplorati della conoscenza. Quasi il brivido della creazione… lo stupore adolescenziale di vedere la tv in piena notte, come allora non si usava, e sapere che con me era davanti allo schermo l’umanità, o perlomeno una sua larga fetta. Fu la prima volta che mi sentì non singolo ma umanità, e non successe poi altre volte.

Ma cosa fu dal punto di vista filosofico quella conquista?

Si presentò come un evento faustiano, prometeico, perché realizzava la sfida dell’uomo alle stelle, come poetavano i futuristi. Era il compimento del progetto moderno. In realtà il suo risultato cospicuo non fu quello di proiettarci in una dimensione cosmica e sovrumana. Ma di vedere improvvisamente rimpicciolita la terra…

Oddio, mi si è ristretto il pianeta…

Esattamente, il mondo si fece piccolo, relativo, periferico; diventò provinciale, come avrebbe detto Gunther Anders, l’autore di un’opera dal titolo significativo, L’Uomo è antiquato. Però, vedendo il pianeta terra così da lontano avemmo per la prima volta la dimensione del globale. Se è vero che le visioni precedono i processi, la visione del mondo dalla luna innescò quel processo che fu poi definito globalizzazione. E questo creò spavento nel filosofo che più aveva previsto e temuto lo sradicamento planetario, Heidegger.

Cosa terrorizzava Martin Heidegger?

Da filosofo-contadino, da pensatore dell’Essere, vedeva non solo espiantato l’umano dalla terra, ma vedeva crescere quell’alienazione radicale che temeva: non sarà l’umano a guidare la tecnica, ma sarà la tecnica a condurre l’umano, a diventare sovrana del mondo e regina del destino. La conquista della luna per lui andava letta a contrario, come la perdita della terra. “Poeticamente l’uomo abita la terra”, amava dire, citando Holderlin…

Già poeticamente, ma anche la luna è un astro prediletto dalla poesia…

Si, ma l’impresa lunare del 1969 capovolse la visione lirica della luna. Per restare sul terreno poetico, direi che quella notte Leopardi fu sconfitto da Marinetti, il poeta futurista che odiava il chiaro di luna, i romantici e i licantropi che ululavano alla luna. Con l’astronave veniva profanata l’aura sacrale della luna, diventava suolo da calpestare, perdeva il fascino mitico di Selene per chinarsi davanti all’impresa ardita dell’homo faber, che l’assoggettava. Era il compimento della fase eroica, titanica della tecnologia, l’apoteosi della modernità conquistatrice. Quel grande passo avanti dell’umanità fu un balzo indietro per la poesia. La lirica cedette il passo alla tecnica, la contemplazione alla velocità. D’un colpo svaniva la luna degli innamorati, calpestata dagli scarponi americani. Futurismo batte Passatismo 1 a 0.

Il primo grande viaggio letterario sulla luna l’aveva compiuto Ludovico Ariosto cinquecento anni fa…

Ariosto aveva immaginato nel suo Orlando Furioso che sulla luna ci fossero le cose perdute in terra, e nella sua immaginazione l’avventura lunare sarebbe stato un viaggio alla ricerca del tempo perduto, delle occasioni mancate, un modo per riprendersi le cose che avevamo alle spalle. Invece la luna apparve agli astronauti un luogo arido, privo di incanto, un deserto assoluto, la negazione delle aspettative umane. Fu così che il futuro spaziale resettò la memoria lunare. Quella notte di cinquant’anni fa vanificò il proposito di Astolfo di andarsi a riprendere il senno perduto sulla luna.

Con che lettura hai scelto di aprire la tua conversazione sulla luna la sera del 20 luglio sul lago?

Con un testo assai particolare di Buzzati. Come Heidegger e come Ceronetti che scrisse un’accorata e apocalittica Difesa della luna, anche Dino Buzzati restò sgomento dall’impresa lunare. Era un conservatore, un montanaro… Tre giorni prima dello sbarco supplicò invano la luna di sfuggire agli astronauti, di ribellarsi alla conquista e mettere in salvo l’universo spirituale… Ma poi avvenne una cosa imprevista. La corsa nello spazio si esaurì, lo spirito di conquista scemò, i progetti di abitare le galassie rimasero lettera morta, la tecnologia si applicò ad altri percorsi. E così rifiorì la nostalgia sull’onda dei canti alla luna, ma ad essi si unì anche la nostalgia di quella notte di mezza estate in cui conquistammo la luna. Non fu una conquista stabile, fu solo il flirt di una nottata… Il futuro diventò il passato, come profetizzò Pasolini, e fiorì la nostalgia dell’avvenire.

 

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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