Presidi e bidelli espulsi dalla video-scuola

Con la scuola a distanza ci siamo preoccupati dei docenti e degli studenti. Ma che fine faranno i presidi e i bidelli, passati definitivamente alla clandestinità, corpi superflui, estranei al video? Nella videoscuola, il bidello tenterà di spacciarsi come cameraman e addetto ai collegamenti? E il preside si riciclerà come tecnico del suono, come influencer, come disc-jockey per il remix delle singole audizioni? Avrà in presidenza come nelle cabine di sorveglianza o di regia televisiva tutte le telecamere coi docenti e alunni? Sarà ridotto solo a un avatar?

Il Preside, c’è il preside, era il preoccupato passaparola tra i ragazzi e a volte tra i professori quando si affacciava all’orizzonte lui, il Capo d’Istituto, l’Autorità per antonomasia. Poi passò sotto falso nome come dirigente d’istituto. Diventò manager e animatore, imam, burocrate e psicoterapeuta. Dev’essere triste studiare da docente, insegnare per vent’anni lettere o scienze e poi ritrovarsi nel ruolo di manager, tra il commercialista e l’agente di viaggio. Ho una personale statistica sui cripto-presidi incontrati in questi ultimi anni: 4 su 5 meridionali, 4 su 5 di sinistra, 4 su 5 incapaci. Le tre categorie non coincidono. La loro etichetta di sinistra la capivi dopo due frasi, quasi come la loro inflessione meridionale, oltre al cognome. E la loro idea della scuola e il loro spessore erano subito chiari. Tra i migliori conosciuti, un preside cieco, che usava un docente come cane lupo, e una preside paralitica, in carrozzella, ambedue del sud: i più validi erano due invalidi.

Ce l’hai coi presidi? Al contrario, ho un debole per loro. Perché mio padre era preside, perché ho un ricordo affettuoso dei miei presidi, perché reputo essenziale la figura del preside. La sua autorità nasceva dal prestigio e dall’essere un superprofessore, più bravo degli altri come docente, oratore e umanista, non come amministratore. Per sbrigare quelle faccende bastava il segretario, quando non c’era l’autonomia scolastica. È come se in un giornale il direttore lo facesse l’amministratore. Il preside era il ponte con le istituzioni, era il senso dello Stato che arrivava in classe, il riferimento storico, il magistrato equo che ora difendeva i docenti ora i genitori, ora gli alunni. Allora i genitori non erano dalla parte dei figli ma del preside; talvolta chiedevano di mazziarli, per formarli. Per Giorgio Manganelli il preside era la versione colta dell’ordine pubblico, tutore del paternalismo di stato, espressione di “un’Italia autorevole, tra antica e senile, con “un suo ideale nazionale”.

Il nostro preside era pure la nostra ricreazione. Interrompeva le lezioni e arrivava lui a cantare le canzoni napoletane. Si faceva precedere dalla bidella che portava in classe la chitarra, e tra noi scoppiava l’euforia. Poi veniva lui e tra lezioni di latino e dialetto locale, ci infilava le canzoni del repertorio classico napoletano. Un sollazzo. Ma in generale, il preside era la severità fatta persona, la difesa della Legge, della Tradizione e dello Stato, l’unità simbolica della scuola, l’autorevolezza del sapere e il saggio equilibrio.

I presidi hanno smesso di essere presidi da quando non sono più chiamati presidi; non è un gioco di parole, ma il mutamento lessicale ha coinciso col mutamento sostanziale. Già ridotti ad amministratori frustrati, con compiti d’imprecisata stregoneria, ora con la video-scuola possono essere sostituiti da un’icona, un drone o un service.

La scuola non ha più né capo né coda da quando ha perso il preside e il bidello. Erano le colonne d’Ercole della scuola, le sue estremità basilari. Lo pseudopreside finora presiedeva più istituti, con un vice effimero o in via di nomina, faceva strani concorsi, era distaccato chissà dove. Insomma già non esisteva più né di nome né di corpo, evaporò, ora è intruso. Così la scuola diventa acefala.

Ma alla scomparsa del preside corrisponde, per simmetria, la scomparsa del bidello. Ecco perché la scuola non ha più né capo né coda. Oltre che acefala è pure focomelica. Il bidello scomparve come qualifica molti anni or sono, rientrò nell’ineffabile personale non docente o collaboratore scolastico che potrebbe includere tutti, anche domatori di circo, spacciatori e ballerine. Osservando la loro vita nell’arco di un’ora, come nei documentari di Piero Angela o nel Grande Fratello, scopri che il bidello è un’entità vaga e vagabonda, priva di compiti effettivi. Una presenza assente. Infatti la pulizia è appaltata a imprese esterne, a ridipingere le aule ci pensano i ragazzi, che fanno pure la colletta; per le fotocopie, aprire la posta e così via, languono allo scopo gli applicati di segreteria. Un tempo i bidelli erano come Caron demonio, traghettatori d’anime dannate; con una funzione liturgica e catartica importante: suonavano la campanella. Ora è quasi sempre automatica.

Allora a che serve quella comitiva di figuranti atrofizzati? E quell’ex bidello che riposa in una campana di vetro, come i santi e le madonne, che ci sta a fare lì all’ingresso? A raccogliere ex voto? Viene usato come il martello o l’estintore, in caso di emergenza rompere il vetro… Eppure ricordo il ruolo paterno, matrigno e fraterno dei bidelli, complice ora del professore ora dell’alunno: stavano lì col secchio e la scopa, facevano un po’ di tutto, gli idraulici e i falegnami, le spie, i boia e i precettori degli alunni prima dell’esecuzione (le interrogazioni).

Se ora passiamo alla scuola a distanza scarichiamo un’app al loro posto e poi scarichiamo loro. Presidi e bidelli sono come la lettera 32 e il telefono a gettoni nell’era del video e dello smartphone.

MV, Panorama n. 22 (1990)

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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