Dimenticanze dull’8 settembre (08/09/2015)
Dimenticanze sull’8 settembre (08/09/2015)
Gli infoibatori ebbero un riconoscimento pubblico dallo Stato italiano, e perfino la riconoscenza, che gli infoibati, cioè la loro vittime, non hanno mai avuto. L’8 settembre fu tante cose, ma fu anche questo, l’inizio di un incubo rimosso nella vergogna. E tutt’oggi ci tocca di sentire gli attacchi degli eredi degli infoibatori e l’omertà dei compagni italiani che intimano di non usare a proposito degli infoibatori la definizione di partigiani comunisti. Eppure comunisti erano, a tutti gli effetti, e così si auto-definivano.
La terza è che l’8 settembre non ricorda affatto l’Italia divisa in due, come ripetono i somari e i sommari di storia, perché l’Italia non si spaccò in due ma in quattro, Quattro italie uscirono infatti dall’8 settembre: l’Italia fascista, l’Italia partigiana, l’Italia sabauda-badogliana, l’Italia neutrale e tendenzialmente democristiana. Chi vede l’8 settembre come il bivio in cui si separano l’Italia che resta a fianco dei tedeschi e l’Italia che passa al fianco degli alleati, non ha ben chiara la frantumazione del paese, l’individualismo e il familismo prevalenti in quel frangente; ma soprattutto non ha in mente che l’Italia si fece in quattro come sempre accade quando si fa una croce su un cerchio. Ci fu l’Italia che si sentì fedele alla monarchia, che riconobbe nei Savoia e in Badoglio l’ultimo straccio di legittimità dello stato italiano, un’Italia in larga parte moderata e in prevalenza centro-meridionale. Ci fu invece un’Italia che si sentì solidale con Mussolini ed il fascismo o semplicemente legata ad un impegno assunto, ad un patto d’acciaio, ad una guerra intrapresa. Ci fu poi un’Italia che si riconobbe nel Cln e nella lotta partigiana, e in molti casi nella rivoluzione che avrebbe portato anche in Italia il comunismo, i soviet e la dittatura del proletariato. E ci fu infine un’Italia neutrale che non si riconosceva in nessuna di quelle italie configgenti, prudente, impolitica e cattolica, che allargava le braccia come Papa Pacelli tra la folla dopo i bombardamenti a San Lorenzo. Ogni spicchio era una fetta verace d’Italia. L’8 settembre non ci fu la morte della patria ma lo spaesamento, ovvero l’assenza di un riferimento saldo e chiaro ad un’appartenenza condivisa, ad un sistema paese.
L’8 settembre non morì la patria ma si sciolse il nesso tra la patria e il senso dello stato, tra l’italianità e le istituzioni. Una nazione allo sbando, si è detto, in cui gli sbandati si sentirono divisi in bande che poi divennero partiti. L’Italia in interiore homine sopravvisse mentre quella pubblica si sgretolava, l’italianità rifluì in ambiti extrapolitici ed extraistituzionali, si fece sentimento, si rivelò carattere e indole, ma smise di essere fedeltà e lealtà ad uno Stato. Il senso civico fu sostituito dal senso cinico. Così l’Italia l’8 settembre non finì come patria né cominciò a vivere finalmente liberata dal giogo di un regime ed un’alleanza; ma sopravvisse ferita a entrambe le lacerazioni. Perché una patria non può essere cancellata né istituita da una dichiarazione ed è più antica della vita di un uomo o di una generazione. Secoli di dominazioni straniere non hanno cancellato un’identità, guerre mondiali e civili, regimi e orrori la possono ferire ma non abolire. L’8 settembre gli italiani restarono spaesati; ma l’Italia restò l’Italia, nel bene e nel male, inghiottì le sue tragedie dentro il suo grembo atavico. Perché una patria è quel che resta dopo l’uragano.
( Da Il Tempo, 8 settembre 2004)