La pazza idea di fare un festival della follia (11 settembre 2015)
La pazza idea di fare un festival della follia (Libero 11 settembre 2015)
Pazza idea, di fare un festival sulla follia. Ma come, c’è pure un festival dedicato alla mente e non ci può essere un festival dedicato alla demenza che è più tragica e più gioiosa, più estroversa e più creativa, più romantica e più tormentosa, più divina e più diabolica? Così nacque l’idea di far nascere un festival dedicato alla pazzia. C’entra, è inutile dirlo, il genius loci. Per uno come me che è nato a Bisceglie, città dei pazzi perché ospitava il manicomio più grande del sud, la follia è di casa. Ma la pazzia è anche una tara ereditaria, e infatti, l’idea di dedicare un festival alla follia è stata contagiata di padre in figlia e di zio in nipote. Così ci ritroviamo imbarcati, con Federica e Gianluca, in una folle impresa a conduzione familiare, una ditta ambulante di export della follia. Da venerdì a lunedì a Teramo ci sarà il primo Festival della follia (www.festivaldellafollia.it) e ci saranno anche Paolo Crepet e Vittorio Sgarbi, Paolo Nori e Pupi Avati. La scelta di Teramo per il festival pazzesco non è casuale, perché anche Teramo ha avuto un suo famoso manicomio. Ha avuto pure i suoi personaggi folli, ciascuno a suo modo: penso a Marco Pannella, profeta allucinato di una società radicalmente libertaria e penso al suo opposto, Giacinto Auriti, economista e filosofo, acuto fino alla follia, delirante fino alla lucidità, che a Teramo costruì la sua teoria della sovranità monetaria che piacque tanto a Beppe Grillo.
A Teramo sarà un antifestival, visto che di festival ce ne sono troppi in giro. Del resto, la pazzia è versatile e vi si può imbastire un percorso a tappe estrose, dalla medicina alla poesia, dalla psichiatria alla profezia, dall’arte alla filosofia, dalla comicità alla tragedia, allestendo mostre, convegni, musei della follia, murales deliranti, archivi della demenza, musiche pazzesche, monologhi, film e spettacoli dedicati alla pazzia, cantastorie per raccontare in strada casi di pazzia… Un ricco catalogo della follia, quasi un’enciclopedia che convoca gli stati generali della pazzia. Immaginavo una giornata della pazzìa in cui i folli prendono simbolicamente le chiavi della città e come avviene a Pamplona si libera la pazzia nelle strade come i tori nella festa di san Firmino, a rischio di farsi incornare. Semel in anno licet insanire – una volta all’anno è permesso impazzire, dicevano gli antichi. Ma si può compiere pure un percorso tragico sulla storia sociale della pazzia, un museo degli orrori dei manicomi, una rassegna di opere d’arte di malati di mente e degli arnesi di contenzione della follia. Letti, camicie di forze, strumenti di cura e di tortura, macchine per sedarla, inebetirla, esorcizzarla. A Teramo ci sarà quest’anno un primo assaggio di questo tour nella follia.
C’è poi la pazzia presunta, usata dalla società, dalle famiglie e dalle comunità per interdire e reprimere i comportamenti difformi e “politically uncorrect” come si direbbe oggi. Anziani internati per soffiare loro i patrimoni, poeti ingabbiati perché avevano idee scandalose, ragazze ricoverate per frenare le loro voglie sessuali e seppellire i loro atti impuri o i loro aborti forzati…Per non dire della pazzia di abolire per legge la malattia mentale, come fu con la Legge Basaglia e chiudere i manicomi senza gestire il dopo-manicomio, aprendo la voragine della follia in casa o per strada.
La pazzia è l’emisfero in ombra dell’umanità, il lato b che percorre come una trama a rovescio la storia della civiltà e dei rapporti umani.
Si può sprigionare la follia, liberarla dalla camicia di nesso della realtà e riconvertirla in creatività o rivivere in farsa quel che fu tragedia.
Il sogno è la dose giornaliera di pazzia dei “savi”; la mente in libera uscita vaneggia, gioca, si tormenta tra insensatezze oniriche e profezie notturne, stabilendo relazioni assurde tra tempi, fatti e persone.
Il pazzo, spiegava Chesterton, non è colui che ha perso la ragione ma chi ha perso tutto tranne la ragione: il folle perde la relazione tra pensieri e realtà, perde il rapporto tra la mente e il mondo.
E poi la pazzia letteraria e poetica, la pazzia filosofica ed etica, la pazzia musicale e pittorica o al cinema, la pazzia come invasamento profetico o mania astrologica, come gioco e comicità, la pazzia come malattia e come terapia. Una forma di revisionismo extravagante che trasforma il delirio in farmaco. Osate esser pazzi, esortava Papini, in certi momenti occorre un granello di follia per fondare le cose o cambiarne radicalmente il corso. Nel delirio della follia scorrono come in una pulp fiction filosofica, artistica e letteraria, la divina pazzia di cui parlava Platone e le tragedie greche di Eschilo, Euripide e Sofocle, e poi la pazzia vissuta o narrata: di Torquato Tasso ed Erasmo da Rotterdam, Cervantes e Shakespeare, don Chisciotte ed Enrico IV, Holderlin e Nietzsche, van Gogh e Ligabue, Dino Campana ed Ezra Pound, Pirandello, Bukovskj e Foucault, Mario Tobino e Alda Merini… In fondo, diceva Beckett, nasciamo tutti pazzi, alcuni poi lo restano. O magari vi ritornano, con la demenza senile. La vita è un intervallo di lucidità tra due pazzie, quella dell’infanzia e quella della vecchiaia. Se la saggezza è misura e la follia è smisuratezza, allora la prima è contenuta nella seconda, come un insieme piccolo dentro un insieme grande: l’isola della ragione è dispersa nell’oceano della pazzia. E comunque, il contrario della pazzia non è la saggezza ma la stupidità. Ricordatelo ai cretini.
(da Libero 11 settembre 2015)