E a Lilli apparve il diavolo
Non era un programma d’informazione giornalistica quello inscenato l’altra sera a Otto e mezzo da Lilli Gruber. Era un rito abbreviato dell’Inquisizione, o peggio, un esorcismo per scacciare il Diavolo, Matteo Satanini, al secolo Salvini. La Gruber aveva finalmente davanti a lei la Ragione Sociale del suo programma, l’Ossessione di ogni sua puntata: il Malefico Salvini. Non c’è serata che non contenga una decina di frecciate velenose contro l’Orco padano. La mission di Otto e mezzo è sparlare di Salvini e di tutto ciò che possa giovare a lui o ricondursi a lui, a torto o a ragione. E l’annessa ragione del suo programma è fissa sul tema derivato: se i grillini si possono redimere dall’abbraccio mortale di Salvini e se possono salvarsi, e salvare l’Italia, alleandosi con la sinistra, col Pd. Tutti gli ospiti si devono esercitare su questi due temi, è la loro prova del fuoco, il loro test d’ingresso. È una compagnia di giro a tema fisso.
Ma venerdì il Diavolo si è materializzato davanti a lei e al suo aiuto-esorcista, che faceva da spalla alla Gruber e cercava con gli occhi la sua approvazione e il suo sostegno. Non erano domande ma sentenze quelle che la Lilli rivolgeva alla Bestia Nera e non c’erano domande che non avessero già incorporata la risposta; ogni tentativo di replica difforme da parte dell’interessato era bocciato sul nascere, era considerata una diversione, un’elusione, comunque qualcosa che deviava la procedura (penale) del programma.
In molti passaggi era evidente l’inalberarsi e l’infastidirsi della conduttrice, il tono era alterato, a malapena era contenuto il livore isterico delle sue reazioni. In alcuni punti la Gruber sembrava un ufficiale austriaco che ordinava la raffica sul Nemico. Ma l’esecuzione alla fine non è riuscita, anzi si è ritorta a danno di chi la comandava.
Alle prime battute del programma anche chi non ha mai nutrito particolare simpatia per Salvini si sentiva quasi in dovere di solidarizzare con lui perché era imbarazzante il tono e il taglio dell’interrogatorio, la manifesta ostilità; nulla che ricordasse vagamente la deontologia professionale del giornalista. Ti pareva un’aggressione, più che un confronto. Con capi d’accusa che sconfinavano nel penale, nell’odio antropologico, nel disprezzo umano oltre che ideologico. Un disprezzo che si allargava a quei milioni d’italiani che la pensano come Salvini.
Ma poi, strada facendo, la capacità dell’Orco di parare i colpi, di controbattere in modo efficace, appellandosi al comune buon senso, senza grandi analisi; ma soprattutto la capacità di sorridere, di incassare e di non spazientirsi davanti all’attacco paramilitare della conducente – conducente perché sembrava che guidasse un panzer, non un programma televisivo – ha ribaltato il senso del programma. E alla fine suscitavano qualche umana tenerezza la Gruber e il suo assistente di campo, perché ti accorgevi che si stavano gratuitamente, professionalmente, umanamente facendosi del male. E l’opinione pubblica che seguiva il programma, e non solo quella fetta ormai larga che segue Salvini, si trovava a riconoscere che Salvini ne stava uscendo meglio dei suoi torchiatori. Ma perché, mi chiedo, una stimata professionista, una brava giornalista, come la Gruber (e come De Angelis) deve perdere di credibilità e di rispettabilità in quel modo? Perché si deve far sopraffare in quel modo così plateale, a tratti disgustoso, dalla sua biliosa faziosità e deve compromettere una lunga carriera in questo modo brutale? Vero è che da tempo il suo programma, chiamato Otto e mezzo da Giuliano Ferrara (in combutta prima con Gad Lerner e poi con l’ottima Ritanna Armeni, di sinistra ma altro stile), dovrebbe essere ribattezzato Tre contro Uno. Perché la formula fissa del programma è la seguente: due ospiti che la pensano come la Gruber e tutti e tre che mazzolano, ridicolizzano, impediscono di parlare, il terzo ospite nel ruolo di Bersaglio, mobile o fisso. Più l’ordigno preconfezionato su misura da Paolo Pagliaro. Ma di recente la Gruber ha rincarato la dose e ha fatto una serie di puntate che potevano denominarsi Quattro a Zero, perché non c’era più nemmeno il contraddittore solitario, il capro espiatorio, l’alibi pluralista. Una messa cantata, un coro. Ma con Salvini la fondamentalista tirolese ha raggiunto il punto più basso.
Potrei augurare a Salvini dieci cento mille di questi massacri mediatici perché si risolvono in suo favore. Ma siccome di professione non faccio il fan di nessuno, vi confesso imbarazzo e fastidio come cittadino, come elettore, come giornalista, come osservatore. Lui magari aumenterà il bottino dei voti ma per noi che abbiamo sempre amato la civiltà del dialogo, è stato davvero mortificante. Un programma del Cairo e non solo nel senso del suo editore.
MV, La Verità 10 maggio 2019