La Costituzione più bella del mondo

Quella sì, fu davvero “la più bella Costituzione del mondo” e non per modo di dire. Per i contenuti, lo stile, la prosa, l’idealità che sprigionava. La Carta del Carnaro di cent’anni fa non fu scritta da pur insigni costituzionalisti e rivista da politici, come la nostra Costituzione; ma fu scritta da un grande sindacalista e rivista da un grande poeta-soldato. Parlo di Alceste De Ambris e di Gabriele d’Annunzio. Fu animata dal confluire di tre grandi energie: l’amor patrio, lo slancio poetico e lo spirito sindacalista rivoluzionario.
All’articolo 2 della parte generale, scritta da De Ambris sono condensate tutte le parole chiave della Carta, ancor oggi attualissime: democrazia diretta, sociale, organica, fondata sulle autonomie, sul lavoro produttivo e sulla “sovranità collettiva di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione”. È d’Annunzio a parlare nella sua stesura di “perpetua volontà popolare”, di “fato latino”, a evocare il Carnaro di Dante, estremo confine della civiltà latina, e il culto dantesco della lingua; a sostituire il riferimento alla Repubblica con quello più classico alla Reggenza, intesa come “governo di popolo”. Fu lui a richiamarsi ai “produttori” e agli “ottimi”. E fu lui a indicare nella bellezza della vita, del lavoro e della virtus, “le credenze religiose collocate sopra tutte le altre” che avrebbero guidato lo Stato.
La forte impronta sociale e popolare della Carta non impediva il culto aristocratico dell’eccellenza e la tutela delle arti più nobili.
Nella Carta erano garantite tutte le libertà dei cittadini, il voto universale e la parità dei diritti tra uomo e donna; era poi ribadita la funzione sociale della proprietà privata ed era disegnato l’assetto della Corporazioni di arti e mestieri. Nove corporazioni raccoglievano i lavoratori nelle loro articolazioni (terra, mare, operai, impiegati, liberi professionisti, intellettuali); la decima era enigmaticamente riservata “alle forze misteriose del popolo in travaglio e in ascendimento”, al “genio ignoto”, all’”uomo novissimo”, a colui che “fatica senza fatica”. Era risolto il dilemma tra Parlamentarismo e Presidenzialismo, riconoscendo centralità al lavoro e sovranità al popolo dei produttori.
Era introdotta la figura del Comandante, inteso come il dictator romano, con pieni poteri ma limitati a un breve arco di tempo. Elementi costitutivi della carta erano l’autodecisione dei popoli, la possibilità di indire referendum, la tutela dei sacri confini nazionali e della civiltà italiana e latina, l’istruzione e l’educazione del popolo come il più alto dei doveri della repubblica, la musica riconosciuta nella Costituzione “come un’istituzione religiosa e sociale”. Nel linguaggio d’oggi dovremmo dire che sovranismo, amor patrio e populismo furono i cardini ideali della Carta del Carnaro. La fusione tra poesia, trincee e sindacalismo è il suo timbro originale.
Veniva poi costituita una Lega di Fiume che “univa in un solo fascio le forze sparse di tutti i popoli oppressi della terra”; cercava l’adesione della Russia Bolscevica ma si rivolgeva anche ai paesi islamici: D’Annunzio esaltò il risveglio dell’Islam, “auspice Italia, dispensatrice di diritto e giustizia”.
Memorabili i discorsi fiumani di D’Annunzio che nel settembre del 1919 prepararono il terremo alla reggenza del Carnaro e al suo statuto: da L’orazion piccola in vista del Carnaro a l’Hic manebimus optime. E a Fiume vi rimasero davvero, per quindici mesi.
La Carta del Carnaro non fu il sogno proibito di una città-utopia separata dalla storia e non fu nemmeno il frutto di un’avventura velleitaria di “un eroe disoccupato a caccia di emozioni”, come l’ha sbrigativamente liquidata Emilio Gentile. Fu invece la visione più lucida e ardita della politica e della società nel Novecento di combattenti che la guerra l’avevano fatta sul serio.
Così De Ambris sintetizzò la Carta in una lettera a D’Annunzio: “Diamo al mondo l’esempio di una Costituzione che in sé accolga tutte le libertà e tutte le audacie del pensiero moderno, facendo rivivere le più nobili e gloriose tradizioni della nostra stirpe”. Esempio perfetto di rivoluzione conservatrice.
MV