Un ponte tra vecchi e giovani

Ma non si può correggere strada facendo il reddito di cittadinanza, renderlo socialmente più utile, eticamente più degno, economicamente più sostenibile, collegato a un’attività anziché a una passività? Non dico abolirlo, a questo punto, dico almeno correggerlo, riportandolo alla realtà. Cerco di spiegarmi.

Innanzitutto, cosa non va del reddito di cittadinanza? Che viene assegnato lasciando praticamente a casa il beneficiato o lasciando che questi possa lavorare in nero. Un reddito assegnato a prescindere dall’impegno, dai meriti e dalle capacità. Le prime avvisaglie del suo perverso funzionamento non mancano e restano avvolti nella mitologia parastatale i cosiddetti navigator o coach che dovrebbero vagliare le richieste e gli accessi al reddito di cittadinanze.

Non va che sia un reddito improduttivo, un gravoso onere a carico della collettività, e che sia affidato a un vago percorso di inserimento nel lavoro, in base al quale saranno via via presentate al beneficiario offerte di lavoro (scaturite da dove, generate da chi?). Tutto molto fumoso, anche se lastricato di buone intenzioni. Invece proviamo a fare un altro discorso, partendo dalla società in cui viviamo.

Dunque, viviamo in una società di vecchi, sempre più vecchi e soli, abbandonati al loro destino e alla tv. I giovani a loro volta abbandonano le città, soprattutto i paesi del sud, vanno via in cerca di fortuna. Si crea nelle nostre società un terribile razzismo anagrafico per cui i vecchi possono stare solo coi vecchi e i giovani stanno solo coi giovani, non c’è più comunicazione attiva tra le generazioni, si è aperto un baratro tra le età. Le famiglie si sfasciano tra i vecchi da assistere e i figli che “divorziano” dai loro genitori perché devono andare a cercarsi un lavoro lontano. Che ne sarà di tanti centri in cui i ragazzi vanno via, ridotti a cronicari o a luoghi di ricovero per migranti senza lavoro? È una grave emergenza ma non c’è nessun discorso politico e sociale che provi ad affrontare la questione.

A questo punto dico: perché non trasformare il reddito di cittadinanza in un rinnovato patto generazionale? Perché non destinare un sussidio a chi se lo merita, ovvero a chi accompagna e assiste uno o più anziani, aiutandoli a fare la spesa, a uscire di casa, a leggere loro il giornale, ad accompagnarli in chiesa, a seguirli nelle pratiche burocratiche e sanitarie? Un angelo custode per ogni vecchio che ne ha bisogno, quasi un nipote adottivo per aiutarlo nella vita quotidiana. Il reddito di cittadinanza sarebbe legato a un’attività realmente svolta. E per evidenti ragioni sarebbe assegnato per ragioni di prossimità a ragazzi del posto, che conoscono la località in cui vive l’anziano e il suo habitat, sono in grado di accompagnarlo, parlano la sua lingua e magari il suo dialetto, insomma sono un po’ di casa e perciò più rassicuranti per l’anziano. Il sussidio di compagnia darebbe un beneficio non solo ai ragazzi ma anche agli anziani e sarebbe un sollievo per le famiglie di entrambi. E ristabilirebbe quel ponte tra le generazioni, quella comunicazioni di vita tra giovani e vecchi che oggi non c’è. Ma non solo: eviterebbe quel baratro che solitamente si apre tra la fine degli studi e l’inizio del lavoro, creando per i ragazzi un periodo di compensazione e di maturazione prima di decidere d’andare via, di abbandonare il paese.

Non si tratterebbe di assistenza sanitaria per la quale occorre personale specializzato ma l’aiuto riguarderebbe quella fase precedente, dovuta all’età, all’incertezza della vista e dei passi, al primo insorgere di dimenticanze e insicurezze, sarebbe un prendersi cura, una premura. E potrebbe dar vita in certi casi a belle amicizie oltre l’età, a mutui soccorsi, episodi reciproci di gratitudine, adozione nelle proprie abitazioni di ragazzi, perfino legami affettivi.

Anche questa ipotesi, come il reddito di cittadinanza, presenta probabilmente difficoltà pratiche nell’attuazione, oltre che costi altrettanto rilevanti; necessita di filtri complessi, agenzie che individuino i vecchi realmente bisognosi e i giovani realmente operosi, e siano capaci di metterli in collegamento e garantire reciprocamente che questo avvenga senza danno. Occorre anche in questo caso vigilare per evitare casi di furbizia, patti sottobanco e altri raggiri. Così come nulla esclude che questo tipo di assistenza e di compagnia possa estendersi anche a pensionati benestanti che potrebbero concorrere con una quota proporzionata al loro reddito, a sostenere l’angelo custode a cui sono stati affidati.

Sarebbe una società più umana, più solidale, più consapevole della sua realtà. Una legge del genere magari piacerebbe anche a Papa Bergoglio, anche se non riguarda i migranti. E darebbe davvero un lavoro dignitoso, eticamente e moralmente dignitoso, oltre che socialmente utile: restituirebbe dignità ai giovani e ai vecchi. C’è qualcuno disposto a cimentarsi nell’impresa? Si escludono perditempo e furbi cercatori di slogan elettorali…

MV, La Verità 9 aprile 2019

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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