Una Carta senza amor patrio

Terza e ultima puntata del viaggio nella Costituzione

Di amor patrio non si accenna minimamente nella nostra Costituzione e si può capire la ragione storica contingente: venivamo da una guerra perduta e dall’ubriacatura fascista e nazionalista, da un patriottismo esibito e guerresco, ed eravamo diventati di fatto un paese a sovranità limitata.

Tutto questo impose la sordina all’amor patrio.

Infatti di patria si parla nella Costituzione solo all’art. 52 a proposito della difesa dei confini; un tema per certi versi oggi più urgente che nel passato e per altri superato dopo Schengen e nella società globale. Ma l’idea difensiva della patria non può esaurire l’amor patrio che non si esercita solo in caso di necessità estrema, ma anche in positivo come un legame d’affetto, di identità e di storia.

Sparisce l’amor patrio, la cultura dell’identità italiana e la mazziniana religione della patria; di sacro restano i confini, oggi impunemente violati, e la difesa in caso di pericolo. La nostra Costituzione è troppo recente per fondare l’amor patrio e troppo vecchia per essere immutabile col nuovo millennio e a 70 anni dalla nascita.

La Costituzione non è immodificabile nel nome di una visione teologica della Carta, che Ciampi definì la nostra Bibbia laica; ogni Carta è figlia del suo tempo e nella nostra carta c’è tutto il sapore del Novecento, delle sue ideologie, dei suoi conflitti, del suo linguaggio.

Oggi per esempio difficilmente si esordirebbe dicendo che la nostra è una repubblica “fondata sul lavoro”, considerando che un’affermazione del genere non riguarda più l’assoluta maggioranza degli italiani. È un’asserzione nobile e significativa ma non è universalmente rappresentativa, se si considera che il prolungamento dell’età media e dell’età giovanile, più i flussi migratori hanno reso il nostro paese abitato in maggioranza da cittadini che non lavorano più o non lavorano ancora.

Meglio sarebbe in linea di principio stabilire che la nostra è una repubblica fondata sul rispetto della persona e della comunità, mediante i diritti e i doveri di ciascuno e di tutti, e dunque la libertà, il lavoro e la dignità dei suoi cittadini.

E sarebbe opportuno esplicitare nella Costituzione l’amor patrio e fondare la nostra democrazia sul principio di responsabilità personale e comunitaria e sulla finalità del bene comune. Sul piano degli ordinamenti, alcune modifiche ci sono già state, come la modifica del titolo quinto della Costituzione riguardo l’assetto federale.

Non sarebbe affatto inconcepibile se la nostra democrazia si riconfigurasse da repubblica parlamentare in repubblica presidenziale, come la Francia o gli Stati Uniti. Ipotesi che i padri costituenti non presero allora in considerazione perché uscivamo dall’esperienza di una dittatura e si temeva il risorgere di leadership forti, autoritarie; ma oggi il presidenzialismo sarebbe pienamente legittimo e sacrosanto.

Peraltro c’è una lunga e rispettabile storia di proposte in questo senso: da Pacciardi a Craxi passando per Almirante, e poi il gruppo democristiano di Europa ’70 e il gruppo di Milano guidato da Miglio. Certo, le modifiche della Costituzione vanno fatte con maggioranze qualificate e non semplici, risicate e occasionali, perché devono esprimere una volontà larga, profonda e duratura.

Ma altre modifiche potranno darsi se si considera che siamo oggi nell’Unione Europea, viviamo in una società globale, ci sono i flussi migratori, nuovi scenari e nuovi reati legati alle nuove tecnologie, alla bioetica e alle violazioni della privacy. Senza considerare gli sconfinamenti dei poteri istituzionali.

La Costituzione in Italia non ha né i meriti né le colpe che le vengono attribuite; è rimasta sulla carta, non ha dato frutti, non è stata causa di progressi né di sciagure. Le carte costituzionali, soprattutto nei paesi mediterranei come il nostro, sono cornici, ma nessun’opera d’arte è stata giudicata dalla cornice.

Sono norme, carte da visita, ideologiche e rituali, regolamenti astratti, dichiarazioni di principio e di intenzioni generiche; ma la vita è altrove, la realtà è un’altra cosa, il mondo va per la sua strada.

Il problema vero non è quel documento, utile per capire lo spirito di un’epoca, i valori e i compromessi di una stagione, ma non per rigenerare un paese e dare una prospettiva di vita e di sviluppo.

Il nodo è un altro: dove si è cacciata l’Italia, qual è e dov’è il suo tratto comune, la sua presente e concreta fisionomia, i suoi punti salienti che la distinguono dagli altri paesi e la accomunano al suo interno?

Insomma bisogna avere una visione “laica” e non teologica della Costituzione, considerarla figlia e non madre della storia, dettata dal proprio tempo, dalle sue esigenze e dalle forze prevalenti dell’epoca e non dettata da Dio a Mosè sul Monte Sinai.

Una Costituzione da rispettare, non da imbalsamare e adorare; quindi  modificarla nelle sue parti più deperibili è un modo per rispettarla sul serio, rendendola viva e aderente alla vita di una nazione e al suo avvenire.

E comunque l’anno che verrà prima di essere il 70° della Costituzione sarà il centenario della Vittoria, il 4 novembre 1918. Se fosse quella la priorità, e se meritasse di essere ripristinata almeno per il centenario come festa nazionale solenne?

In fondo è l’unica data condivisa che ricorda l’unità degli italiani.

Se il comune proposito è rifondare l’Italia, il pericolo prioritario da cui dobbiamo salvarla è lo sfascismo trasversale e molecolare che la sta distruggendo. Occorre allora rifondare l’Italia sulla resistenza allo sfascismo imperante e su una vera lotta di liberazione antisfascista.

 

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  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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