La festa del Partesan
Crolla il mondo, la gente è reclusa in casa come mai era successo, neanche in tempo di guerra o sotto la dittatura, ma il fascismo resta a 75 anni dalla sua caduta, il pericolo numero uno e l’antifascismo la nostra sola religione civile. Cortei domestici, sit-in alla finestra e piazzate virtuali.
Potrei dirvi tutte le mie perplessità nel celebrare ancora una festa che divide gli italiani e non tra fascisti e antifascisti ma tra chi ritiene che il mondo di oggi non si divide certo tra queste due categorie, e chi invece ne è ancora convinto. Il fascismo è morto e sepolto e l’antifascismo in assenza di fascismo non ha senso; avrebbe senso una festa della libertà e della democrazia contro tutti i totalitarismi, vecchi e nuovi, ma non questa, così concepita. Merita ogni rispetto chi fu antifascista in epoca fascista, pagando sulla sua pelle. Ma non ha senso ululare oggi al fascismo in agguato, dopo 75 anni, mentre del comunismo ancora vigente in Cina, e assai più vicino del tempo, non si parla più, tantomeno dei suoi orrori. Quattro fessi che disegnano una svastica o trafficano in figurine del duce non sono una minaccia alla democrazia. Sicuramente meno minacciosi degli anarchici torinesi o degli antagonisti.
Potrei ricordarvi che la liberazione dal fascismo e la libertà non ce la dette la Resistenza ma gli Anglo-Americani; mezza Resistenza sognava l’avvento della dittatura comunista. Potrei dirvi che i partigiani veri erano una minoranza rispetto a quelli presunti, sedicenti e postumi. Pensate che, come documenta Fabio Andriola in Storia in rete, già nell’immediato dopoguerra su 650mila presunti partigiani che chiedevano il riconoscimento di stato, ne furono riconosciuti solo 137mila. E altri si sono aggiunti nei decenni, che potremmo definire partesan anziché partigiani, come la differenza che corre tra il parmigiano e il parmesan. Antifascisti posticci, a babbo morto, da remoto.
Potrei ancora dirvi che tra i fascisti e gli antifascisti c’è di mezzo la gran parte degli italiani, che non presero parte alla guerra civile, ma furono sbandati, neutrali, monarchici, poi democristiani, comunque lontani da quella furente divisione. Potrei dire ancora che non possiamo fare di un anti, la nostra sola, indiscutibile, tassativa religione civile, né possiamo ridurre la storia millenaria d’Italia, la civiltà antica, medievale e moderna, il Risorgimento e la Grande Guerra, solo agli ultimi tre quarti di secolo, fingendo che l’Italia sia nata con la Resistenza.
Ma non è di questo che voglio dirvi. Voglio porvi a contrario il tema del manifesto per il 25 aprile lanciato da Petrini, Serra e Lerner. In quelle 1400 firme – non so ora a che numero siano arrivate – ci sono da distinguere tre categorie. I promotori, quelli che si sentono ancora in guerra con l’eterno fascismo, quelli “der valoroso collettivo antifascista”, tra cui i primi firmatari, la presidente dell’Anpi, la partigiana virtuale Carla Nespolo, i compagni, lottatori continui e così via. Dopo i militanti ci sono gli aderenti, quelli che non si tirano mai indietro a firmare manifesti, quelli che aderiscono all’antifascismo come establishment, test psicoattitudinale d’ingresso alla democrazia; gente che ha fatto il tampone resistenziale, che passeggia con la mascherina antifascista come titolo di appartenenza. Ci sono svariati scrittori, cineasti, cantanti, editori, cuochi, direttori di giornali, ecc. Inclusi quei cattolici di potere delle Brigate Bergoglio che vogliono liberare il mondo non dal diavolo né dalla pandemia ma dai sovranisti.
C’è poi una terza categoria, quelli che non hanno mai manifestato il loro antifascismo ma per sopravvivere e dissipare ogni dubbio hanno firmato perché non farlo avrebbe comportato l’iscrizione automatica nel Libro Nero dei camerati & complici della Bestia Nera. Sono i Costretti, o Coscritti, antifascisti per campare. Qui c’è il popolo delle Tardine, cioè sardine andate a male, che in età avanzata scoprono un tardivo antifascismo. Ne ho viste di firme intruse ed estranee. Chi non canta “bella ciao” fascista è, è. C’è persino la vecchia brigata partesan Celentano-Zanicchi-Orietta Berti.
Però quel che colpisce di questo corteo fiction non sono le firme per convinzione o convenienza, ma il muro eretto rispetto al resto d’Italia. Un terribile muro spinato che divide la società in giusti e infami. Chi non ha firmato è iscritto d’ufficio tra i Negativi, magari asintomatici, ma positivi al virus fascista e dunque contagiosi, untori, portatori infami. Criptofascisti, parafascisti, da tenere fuori da ogni contesto, da cancellare.
È questa la cappa intollerante, illibertaria, che incombe sul nostro paese, e in particolare sulla cultura, le istituzioni, il cinema, la musica, l’arte, l’editoria, il giornalismo, fino a sconfinare in altri ambiti, persino nella gastronomia. Quel muro divisorio a 75 anni dalla caduta del fascismo, quella linea discriminatoria che non era così perentoria dieci dopo il fascismo, si fa più pesante oggi che sono tutti morti, fascisti e antifascisti. E’ la maledizione che ci portiamo addosso, e che ci impedisce di festeggiare uniti le nostre feste civili e nazionali.
A proposito di morti, nel passaggio finale, riferendosi alla strage di anziani col virus, l’appello denuncia con dolore che “Uno a uno i partigiani ci lasciano”. I partigiani morti col coronavirus si conteranno sulle dita di una mano o forse due, per evidenti ragioni anagrafiche e statistiche. Sono migliaia invece gli anziani morti per il virus che non avevano nulla a che fare con la Resistenza. Una preghiera per loro. Perché l’Italia è molto più grande delle brigate partigiane. E i vecchi sono da onorare comunque, anche se hanno servito l’Italia, il lavoro, la famiglia senza essere partigiani né partesan.
MV, La Verità 24 aprile 2020