Ripartire da Salvini

Spegnete la tv all’ora dei tg o perlomeno togliete il sonoro e domandatevi fuori dal minuetto inconcludente che vi propinano ogni giorno: ma in questa situazione qual è meglio per il mio Paese, io da che parte sto, chi reputo i miei rappresentanti, i punti fermi da cui ripartire, o perlomeno i punti meno fradici, i rappresentanti meno lontani  da cui ricominciare? Insomma, com’è la crisi vista coi nostri occhi e non con i loro?

Cominciamo con un piccolo esercizio di ottimismo catastrofico: l’assenza di governo non è un male assoluto. Non lo è stato per paesi come la Germania, figuriamoci per noi. Siamo abituati a non scorgere grandi differenze tra governi in carica e fasi di transizione senza governo, salvo sceneggiature televisive. La politica in fondo è tutta lì, nello schermo, e spesso nello scherno; a volte la politica sembra un’invenzione della tv per intrattenere gli italiani. Capi, capetti e capini esistono solo perché appaiono ogni giorno in tv e dicono dicono. Se non dicessero, se non figurassero, il loro effetto reale, la loro incidenza, sul paese sarebbero nulli, o quasi.  Dunque un governo non è urgente e un governo “strano” come quelli che si annunciano, potrebbe essere perfino peggio del non-governo presente.

Fatta questa premessa desolante ma rassicurante, da ottimisti della disperazione, torniamo alla domanda e ai suoi corollari. E qui si rischia di piombare nel più cupo e apocalittico pessimismo: non abbiamo un punto fermo da cui ripartire, un soggetto, una forza, un riferimento che possono essere considerati come nocchieri o ancoraggi in gran tempesta. D’altra parte non è che il quadro politico, di valori e di riferimenti, sia pessimo per sua intrinseca malvagità; evidentemente rispecchia lo stato in cui versa il paese, l’inselvatichimento della vita privata e collettiva, l’imbarbarimento tecno-economico in cui viviamo, l’assenza di solidi basi morali, culturali e spirituali nel Paese. C’è poco da fare, un paese declinante offre una classe politica scadente.

Descritto lo scenario veniamo a noi, noi conservatori o rivoluzionario-conservatori, cattolici tradizionali o patrioti, noi variamente detti di destra, noi per la nazione, per la tradizione e per la civiltà. Ovvero quel che è stato da sempre il bacino a cui si è rivolto un quotidiano come Il Tempo, per intenderci. E in particolare quell’area nella versione romana e centromeridionale che è stato il suo tradizionale serbatoio.

Chi rappresenta oggi questo mondo? Vennero meno la Dc e il Msi, che erano i poli entro cui si riconosceva quel mondo di lettori, più monarchici, liberal-conservatori e perfino reazionari. Poi venne l’asse Berlusconi-Fini e in particolare Alleanza Nazionale; ora sono rimaste le sue tracce, l’ultima stagione del berlusconismo da una parte e la stagione del melonismo dall’altra, sorella minore di An. Ma bisogna pur dire che quell’area – con quella sensibilità, quei temi interni e internazionali, politici e morali – trova oggi il suo principale rappresentante nella Lega di Salvini. Non è un’opinione personale, è un riconoscimento di fatto.

Quando persino al sud e a Roma, la Lega supera di gran lunga Fratelli d’Italia e quando l’elettorato di destra, non berlusconiano, liberale e moderato, si rivolge alla Lega, vuol dire che il principale riferimento politico-elettorale di quel mondo è oggi la Lega di Salvini. Che non è la Lega di Bossi, che non è più la Lega padana, che non è più la variabile secessionista di un movimento estremista di centro, paradossalmente centrista e centrifugo. Oggi la Lega di Salvini è sul piano politico la destra in campo; anche nella sua riluttanza ad essere del tutto di destra, come del resto accadeva non solo alla Dc ieri ma anche allo stesso Movimento Sociale, che pur approdando alla destra nazionale, conservava connotati sociali e popolari che la rendevano irriducibile alla destra classica.

Oggi quella è la destra. Quando vedo che persino nella mia Puglia ingrillita, a Bari, è Salvini a parlare coi suoi tre eletti in Puglia, a nome della destra, vuol dire che questa è la situazione. Sono convinto che un’opinione pubblica che per approssimazione definiamo di destra sia ancora diffusa nel paese, perfino più di quella “di sinistra”; un’opinione che ripiega sul residuo berlusconismo, sulla piccola destra meloniana (che fa presa sul ricordo della fiamma e la buona riuscita della Meloni in tv, e poi nient’altro), o si sperde nel non voto, nel voto grillino, nel voto a frammenti della destra radicale, ma alla fine trova nella Lega il suo luogo principale di raccolta.

Ho espresso più volte riserve di ordine storico e geografico sulla Lega, l’ho sentita a lungo come un corpo estraneo, da meridionale e da uomo di destra, ho diffidato dell’autenticità della svolta salviniana. Ma piaccia o no, e non so se sia più un merito della Lega salviniana o un demerito della destra venuta da An, ma oggi il cuore della destra è lì. Dunque non si può concludere che in un modo: la destra riparte da Salvini.

MV, Il Tempo 13 aprile 2018

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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