Promise il paradiso in terra, portò l’inferno
Intervista tratta da I comunisti lo fanno meglio (ed. Paesi, a cura di Luciano Tirinnanzi).
Cosa evoca in te la parola comunismo e quale impatto ha avuto nella tua formazione? Hai qualche ricordo personale che possa chiarire lo spirito dei tempi?
Il comunismo evoca in me l’utopia del paradiso terrestre e l’avvento dell’inferno. Una diabolica alchimia traduce un bene immaginario in un male reale. Il dispositivo tragico del comunismo è la promessa di abolire la realtà per generare un mondo migliore. Ovvero nel nome di un mondo perfetto si è pronti a sacrificare gli uomini imperfetti che vivono nella realtà e nella storia. Poi bisogna distinguere tra il comunismo e i comunisti, almeno una parte di loro; furono in tanti i comunisti in buona fede che lottavano per la giustizia sociale, che si comportavano in modo coerente e solidale e non si macchiarono di crimini, se non di complicità e cecità. Da pugliese ho sempre nutrito rispetto per Peppino Di Vittorio e mi impressionò una volta un comunista che mi disse di essere diventato tale perché da bambino vide suo padre bracciante scartato e umiliato dal caporale perché era malato e non era nelle condizioni di lavorare; quel giorno saltò col lavoro anche la paga e il pranzo. In quel tempo nelle campagne i caporali usavano a volta mettere la museruola ai braccianti per impedire loro di mangiare l’uva che raccoglievano… Capisco che con esperienze di vita così, qualcuno possa diventare comunista. Rispetto chi proviene da una sofferenza, da un’umiliazione, dalla sete di riscatto sociale. Ma l’esperienza soggettiva di taluni comunisti non cancella il male oggettivo che il comunismo ha procurato ovunque sia andato al potere.
Si parla spesso di comunismo reale e ideale. Si tratta di una sintesi corretta o piuttosto di una scorciatoia per giustificare il tentativo di conciliare il contesto del comunismo democratico europeo (penso a Italia e Francia), con il totalitarismo sovietico di stampo leniniano-staliniano? Ed è un tentativo riuscito?
È stata creata una bad company su cui scaricare tutti i mali del comunismo reale e salvare l’incontaminata purezza ideale del comunismo ideale: è lo stalinismo. In realtà ogni comunismo andato al potere in continenti, situazioni, popoli diversi, ha prodotto gli stessi disastri: è cambiato il grado e il livello di catastrofe ma non l’esito negativo di tutti i regimi comunisti. A dimostrazione che non sono alcune realizzazioni storiche, o alcune leadership ad aver tradito il comunismo ideale ma il difetto, per così dire, è nel manico, ovvero è nel comunismo stesso, nell’irrealismo e nel tentativo di correggere radicalmente l’umanità. Quello che viene definito comunismo ideale in realtà è il comunismo che non è andato al potere. Infatti i miti persistenti del comunismo, a cominciare dai nostrani (si pensi alla mitizzazione di Berlinguer), attengono a quei partiti comunisti che non andarono al potere e dunque si sottrassero al fallimento. Solitamente il nucleo ideologico e storico del comunismo, la sua essenza e il suo nocciolo duro, di regime totalitario, di dittatura nel nome del proletariato, è stata dissimulata nel passaggio dall’anticapitalismo all’antifascismo: avendo concorso alla “liberazione” d’Europa, il comunismo assume così l’aspetto di un movimento in favore della democrazia e della libertà. in realtà molti comunisti che combattevano contro il “nazifascismo” sognavano una dittatura ben più totalitaria di quella che volevano abbattere. Non sognavano di ripristinare la democrazia liberale ma di passare dall’antifascismo all’anticapitalismo e di trasferire la lotta tra le nazioni in lotta di classe. Il miglior comunismo, come le rose di Gozzano, è quello che non fu colto….
Ha contribuito più l’esempio di Lenin o quello di Stalin a concretizzare il comunismo a livello internazionale?
Reputo una forzatura separare il leninismo dallo stalinismo; c’è in realtà una linea di continuità: il regime totalitario, la pratica del terrore, l’eliminazione del nemico vengono instaurati da Lenin, che gode del beneficio dello stato nascente, e dell’alibi di aver avuto pochi anni per governare. Stalin prosegue coerentemente il progetto leninista, lo mette in pratica e da un verso lo coniuga con una forma esplicita di nazional-comunismo o di imperial-comunismo, dall’altro consegue anche risultati significativi nella nazionalizzazione delle masse che elevano l’Urss a Potenza mondiale. Ai cultori del comunismo possibile al posto del comunismo reale, vorrei poi ricordare che tra le possibili evoluzioni del comunismo c’era anche quella sancita dal patto Molotov-Ribbentrop, ovvero Stalin-Hitler, del 1939. Chissà cosa sarebbe accaduto se quel patto nazi-comunista fosse rimasto in piedi nella Seconda guerra mondiale. Anche quello è un comunismo possibile di cui tener conto…
Come giustificava all’epoca il PCI la rigidità ideologica? E come si poteva conciliare tutto ciò con le istituzioni democratiche? Essere opposizione e mai governo poteva durare nella logica del potere? Prendere le distanze da Mosca e sostenere che c’era una «terza via» possibile, quella italiana, era un discorso intellettualmente onesto?
Resta famosa la doppiezza togliattiana. Fu lui, prima di Almirante, il primo leader a usare il doppiopetto e a suscitare facili ma pertinenti battute sul suo doppio ruolo di uomo di Mosca e leader del partito comunista italiano che entrava nella logica delle alleanze con le forze democratiche e costituzionali (così come alla metà degli anni Trenta era stato l’alfiere dell’entrismo nel partito fascismo e del famoso appello ai fratelli in camicia nera). E dall’altro essere un esecutore solerte e silente delle direttive moscovite e del comintern, fino a coprire, sostenere, avallare alcune delle pagine più terribili del comunismo: le purghe e i gulag, i massacri degli antifascisti che si rifugiarono in Russia e non trovarono il paradiso del socialismo, gli eccidi del triangolo rosso, le complici coperture ai comunisti di Tito sulle foibe e le persecuzioni degli istriani, dei dalmati… Togliatti, uomo colto e politico lucido, ha avuto delle colpe gravissime anche nella mancata trattativa per la liberazione di Gramsci. Nel dopoguerra la linea della doppiezza prevalse, e da una parte il Pci era il partito della Costituzione, del Cln, dell’alleanza antifascista, ma dall’altro era il partito fedele a Stalin e a Mosca, finanziato dai sovietici, totalmente subalterno alla sua linea. La rigidità ideologica si accompagnava a una duttilità strategica e tattica fino al cinismo. La terza via fu poco più che uno specchietto per le allodole e se vi fu una rielaborazione ideologica di una via nazionale al comunismo, che aveva già anticipato Gramsci, era in realtà una linea che derivava strettamente dal leninismo e che pure Stalin aveva sposato: l’arte mimetica e strategica di adeguarsi alle situazioni storiche e locali e assumere forme più consone ai popoli e ai paesi, un partito proteiforme… Nacque quel mostro ibrido di un comunismo di lotta e di potere, che si perfezionò negli anni 70, con la presa delle regioni del centro-nord, il compromesso storico, i ruoli chiave nelle istituzioni, nella magistratura, nella cultura; il gramscismo come egemonia culturale avviato da Togliatti.